di Noemi Calabrese
Questa volta è toccato a Londra, dopo Nizza e Berlino, il terrorismo continua a mietere vittime e seminare paura. Un nuovo attacco ha colpito l’Europa e il Parlamento inglese, ancora una volta un simbolo, la culla della democrazia per antonomasia.
L’Isis continua i suoi attacchi, scegliendo simbolicamente i luoghi che possano parlare a tutti, perché di fronte al terrorismo non esiste bandiera: italiani, inglesi, francesi e tedeschi sono tutti possibili bersagli. E anche la Brexit passa in secondo piano. È ancora l’Europa a tremare.
Negli ultimi anni si sono moltiplicati gli atti terroristici di matrice islamica, quello cui stiamo assistendo ormai da tempo non sono solo azioni sporadiche e dislocate nello spazio e nel tempo, ma attacchi studiati e ostentati, quasi fossero motivo di orgoglio. Purtroppo l’attentato di Londra ci ricorda, come lo scampanio della Torre del Big Ben, che gli attacchi continuano ripetutamente e che la scia di sangue non accenna ad arrestarsi. La fine di questa guerra è ancora lontana, ma il tarlo di una crisi sembra insinuarsi anche all’interno di quella propaggine che è il fondamentalismo islamico.
È interessante, infatti, notare che se il terrorismo è costretto ad usare un suv per creare panico e terrore dimostra di trovarsi in difficoltà. Come un vaso di terracotta, l’Isis comincia a mostrare le sue prime crepe.
I piani “spettacolari” non trovano più compimento e sempre più spesso si assiste ad azioni singole e solitarie. Basta guardare agli attentati terroristici di Nizza e Berlino, solo per citarne alcuni. Sia a Nizza, sia a Berlino un tir si è schiantato sulla folla in una giornata di festa, rispettivamente la Festa della Bastiglia lo scorso 14 luglio 2016 e qualche giorno prima di Natale il 19 dicembre 2016. Una casualità? Se aggiungiamo che l’attentato di Londra si è verificato ad un anno dagli attentati di Bruxelles, lo scorso 22 marzo 2016, le “coincidenze”, se così davvero vogliamo chiamarle, aumentano.
E non è tutto. Qualche lettore attento avrà certamente notato che sia a Nizza, sia a Berlino e anche a Londra gli attacchi terroristici sono stati sferrati da un mezzo di trasporto, un tir o un automobile. Dopo gli ordigni, i kamikaze e le raffiche di kalashnikov il terrore ritorna a farsi sentire con i tir e le automobili che si schiantano ad alta velocità su intere folle seminando morti e feriti. Così era successo a Nizza, dove una folla radunata per guardare i fuochi d’artificio lungo la nota Promenade des Anglais è stata travolta da un tir dal cui finestrino il conducente sparava all’impazzata colpi di mitra. Stessa cosa è avvenuta anche a Berlino, dove un autoarticolato ha investito la folla al consueto e tradizionale mercatino di Natale del quartiere tedesco Breitscheidplatz.
E adesso, proprio qualche giorno fa, a Londra Khalid Masood, 52 enne di origini inglesi, alla guida di un suv ha investito alcune persone che passeggiavano lungo il ponte di Westminster, all’interno della cornice neogotica della Cattedrale e della Torre del Big Ben. Insomma, l’uso del suv o del tir altro non è che un vero e proprio “marchio di fabbrica”, una sorta di consolidato modus operandi. Attacchi difficilmente controllabili, anche in una zona, come quella londinese, presieduta e vigilata continuamente da poliziotti. Eppure non possono stupire, d’altronde la propaganda del Califfato si è estremizzata. Da soli o in gruppo e con ogni mezzo tutti gli jihadisti sono determinati a colpire l’Europa e l’Occidente nel nome di Allah.
Altro dato significativo? Gli ultimi attentati dimostrano che la strada per il terrorismo segue due modi: la prima è l’autodidatta che si radicalizza da solo attraverso Internet e i social network, come nel caso di Berlino e Marsiglia; la seconda è l’azione di singoli che, talvolta coordinati da un gruppo, talvolta in solitaria, come schegge impazzite, si fanno strumento di morte e terrore, come nel caso di Nizza e di Londra.
In ognuno dei due casi, l’attacco del singolo si fa sempre più insidioso perché, come tristemente noto, è incontrollabile e spesso insospettabile. Lo stesso autore della strage di Londra non era nemmeno tra i sospetti del governo britannico, rappresentava solo un satellite che gravitava attorno alle figure ritenute più pericolose. Naturalmente questa situazione non fa che aumentare le preoccupazioni e le paure dell’opinione pubblica ma soprattutto provoca allarmismo che fa guardare tutti con sospetto, perfino il proprio vicino di casa.
Anche se, come sottolineato da Charles de Wall, esperto di terrorismo di Chatham House, l’Istituto di Studi Internazionali di Londra, l’attacco era previsto da tempo tanto che gli eventi dello scorso mercoledì «non hanno colto di sorpresa intelligence, politici o servizi d’emergenza» che, infatti, erano preparati. Difficile fermare gli attacchi solitari, ma l’attentato era atteso.
Noi occidentali vorremmo che i pericoli fossero confinati in un’area ben delimitata, di modo da tenere il controllo della situazione, ma questa guerra questa volta si gioca su più fronti e diversi terreni e il timore che le bandiere nere arrivino fin sotto casa cresce.
Molte città sono state attaccate, l’Isis si sta riorganizzando ma nel frattempo comincia a indebolirsi. Il re(gno) del Califfato comincia a vacillare, lo scacco matto è vicino?