di Chiara Ciotti
Tra le rovine di una città distrutta Mohammed Mohiedine Anis, 70 anni, conosciuto nel suo quartiere di Aleppo, città della Siria settentrionale, come “Abu Omar”, cerca un briciolo di normalità stando seduto nella stanza da letto della sua casa devastata dai bombardamenti, fumando una pipa e ascoltando la musica dal suo amato fonografo. Catturato dalla macchina fotografica di Joseph Eid di Agence France-Presse, l’immagine di Anis ha fatto il giro del mondo, divenendo un vero simbolo della battaglia di Aleppo, della disperazione di chi vede devastare la propria terra, ma soprattutto dell’amore viscerale che lo lega ad essa.
A confortarlo la musica del vinile, che infonde speranza, coraggio e bisogno di rinascita in una terra martoriata da sei anni di guerra civile. Anis continua a dormire nella sua casa, tra i detriti: simbolo di un attaccamento profondo al suo Paese.
Quella di Anis non è un’immagine di guerra, non è violenta, ma mostra la forza nella fragilità della popolazione siriana, che vive in condizioni estreme, ma che non abbandona la speranza di farcela, di vincere questo incubo e tornare a vivere.
Sei anni di guerra civile, trecentomila morti e milioni di sfollati e rifugiati: ma non è ancora finita, perché i bombardamenti continuano e colpiscono abitazioni, ospedali e persone indiscriminatamente. All’orrore si aggiunge il rischio di “una catastrofe umanitaria senza precedenti”, denunciata dall’Onu, e il massiccio coinvolgimento tra i civili di numerosi bambini.
Non è facile riavvolgere il nastro della guerra in Siria e spiegare il coinvolgimento delle forze in azione: dalla primavera araba del 2011, quando milioni di cittadini siriani scendono in piazza per chiedere più democrazia e libertà al regime di Bashar al Assad con la successiva repressione violenta del governo siriano. Inizia la battaglia tra i manifestanti, che passano alla lotta armata per difendersi, e l’esercito. Da questo momento iniziano i combattimenti per la presa delle città simbolo della Siria, la più importante delle quali quella di Aleppo nel dicembre 2016.
Ma in Siria non si combatte una sola battaglia, perché gli attori in gioco sono molti e il sistema di alleanze complesso: oltre la guerra tra il governo di Assad, sostenuto da Russia, Iran e il gruppo libanese Hezbollah, e i diversi gruppi di ribelli, che si scontrano anche tra loro, in Siria c’è l’Isis, il sedicente Stato Islamico che dal 2014 ha proclamato Raqqa sua capitale e tra il 2015 e il 2016 ha devastato la città di Palmira, oltre che aver seminato in questi due anni terrore in Europa con attentati terroristici, combattuto dalla coalizione internazionale capeggiata dagli Stati Uniti d’America. Ma non solo, in Siria un ruolo fondamentale lo svolgono anche i curdi, alla ricerca dell’indipendenza nel territorio a maggioranza curda tra Turchia, Siria e Iraq, profondamente ostacolati da decenni dalla Turchia, che, nella complicata situazione siriana, è un interlocutore fondamentale tanto per gli Usa, quanto per la Russia.
La guerra in Siria chiama in causa il coinvolgimento di diversi Paesi, ognuno intento a soddisfare i propri interessi nella zona, spesso contraddittori, dimenticando, però, che c’è un Paese distrutto, dilaniato, raso al suolo e una popolazione stremata dalle bombe, dalla fame, dal freddo.
Che quella di Anis possa essere una delle immagini di speranza, la prima di una lunga serie.
Fonti: Agence France-Presse; Il Post; Internazionale; la Repubblica; The Post Internazionale.