Dante ovvero il fabbro della lingua delle “femminette”

La tradizione letteraria italiana riconosce, almeno dal secolo scorso, in Dante Alighieri un primato assoluto in termini di notorietà entro il canone degli autori più conosciuti o comunemente affrontati nei programmi scolastici. Di Dante si è parlato a lungo, così come si parlerà ancora per molto: la più antica delle tre corone fiorentine sembra non avere infatti esaurito la sua originalità, poiché lo studio degli accademici, soprattutto dei linguisti, si è concentrato negli ultimi anni sulla lingua adottata dal poeta: importanti ricerche condotte dall’Accademia della Crusca in primis si concentrano sugli aspetti linguistici, nella fattispecie lessicali, della Commedia.

Premessa imprescindibile è la seguente: dell’opera dantesca non possediamo alcun autografo, anche se i manoscritti abbondano in gran numero: solo per la Commedia, certamente diffusa e amata già in origine dai contemporanei, si contano circa 800 testimoni: un numero impressionante, se si confronta con altre opere medievali del medesimo periodo. Oltre a ciò, il termine “dantista”, utilizzato per designare chi si occupa di commentare le opere dantesche, appare subito all’inizio del XIV secolo: i contemporanei erano dunque estremamente coscienti circa la novità di quanto elaborato da Dante: l’ambiente maggiormente ricettivo fu proprio il Nord Italia, di cui facevano parte le corti e i luoghi in cui si ritirò il poeta dopo l’esilio. Altri termini sempre collegati alla figura di Dante, come “dantismo”, nacquero attorno all’inizio del secolo scorso: questo fatto rende testimonianza della longevità che l’interesse verso il poeta ha dimostrato durante i secoli, ad eccezione della parentesi fra Cinquecento e primo Ottocento che vide il Petrarca come modello assoluto della lingua poetica.

La lingua di Dante, così come il suo ideatore, è di base fiorentina: tutta la Commedia è figlia di Firenze, sebbene non ivi composta. La lingua adottata nel poema, che Dante definisce come «lingua volgare, con la quale comunicano anche le femminette», mostra indubitabilmente sempre una base fiorentineggiante, cui si sovrappongono tratti meno localizzati e più estesi in senso di diffusione sul territorio: Dante fa largo uso di altri dialetti toscani, quali il pisano e il lucchese, e di altri dialetti parlati nell’est della regione, come l’umbro.

La potenza della Commedia si dispiega tuttavia non attraverso la matrice fono-morfologica e sintattica, ma mediante il lessico: esso appare innanzitutto «in tutta la gamma delle sue varietà, da quelle più auliche a quelle più colloquiali e basse, senza nessuna preclusione». La separazione che vige entro le tre cantiche non si osserva solo nell’argomento, che si dirige man mano verso l’aulico, ma anche attraverso il linguaggio adottato: era cosa comune (come Dante pur scrive nel libro II del De vulgari eloquentia) che a ogni tema trattato corrispondesse sempre un preciso linguaggio da adottare: così, se si doveva trattare una questione alta e impegnata o particolarmente preziosa sarebbe stato necessario utilizzare una lingua che si confacesse all’importanza di quanto affermato, mentre se si desiderava trattare di un tema piuttosto basso o volgare sarebbe risultato dunque opportuno adottare una lingua che non mostrasse contrasto con il luogo in cui sarebbe stata applicata.

Il linguaggio basso, scurrile e violento caratterizza per questo gran parte dell’Inferno, anche se in esso non si esaurisce del tutto: l’Inferno è in assoluto la cantica attraverso la quale, più delle altre, per la prima volta vengono immessi in poesia argomenti, luoghi, oggetti che mai prima di quel momento avevano trovato posto nella letteratura. Dal fiorentino dunque Dante assume parole quali appuzzare “riempire di puzza”, bordello, dal francese bordel e diffuso nei dialetti toscani del Due-Trecento col significato di “postribolo”, culo, fica, gozzo “gola”, grattare, intronare “assordare con rumori eccessivi”, latrare, letame, merda, puttana, puttaneggiare, ringhiare, rogna, sterco.

Ma la “malalingua” dantesca non finisce certamente qui: il Poeta è il primo, molto spesso, a introdurre nella lingua letteraria termini tratti dal fiorentino dell’uso pratico e dei mestieri, mentre in altre occasioni tende ad adattare termini presenti in altre lingue collocandole il più vicino possibile alla forme che avrebbero nella sua lingua natia: esempi di tal sorta sono accaffare “afferrare”, “arraffare”, dall’arabismo caffo, che indica il palmo della mano, acceffare “afferrare col muso” “azzannare”, dal francesismo ceffo, appastarsi “impastarsi”, bastardo “persona spregevole”, dal francese bastart, broda “brodaglia, acqua sporca di fango”, cuticagna “collottola”, “nuca”, dilaccarsi “squarciarsi”, usato spesso in relazione all’espressione divaricare le lacche, cioè le cosce, fesso “fenditura tra le natiche”, leppo “puzza”, merdoso, muffa, trullare “emettere peti”.

L’ultimo elenco qui presentato fornisce validi esempi di dantismi: per dantismi si intendono o quei termini che Dante ha inserito nella lingua letteraria partendo dall’uso vivo del fiorentino o di altre lingue, spesso adattandole alla propria lingua natia, o quelle parole che egli stesso ha creato da sé, più note come neologismi. Accidioso, contrappasso, squadernare, trascolorare “cambiare colorito del volto”, trasumanare “andare al di là dei limiti della natura umana”, indiarsi “assimilarsi a Dio”, infuturarsi “entrare prolungandosi nel futuro”, intuarsi e iluiarsi, rispettivamente “entrare in te” ed “entrare in lui” sono solo alcuni dei numerosi esempi di termini di nuova fattura che si trovano nella Commedia, soprattutto nell’ultima cantica, ove la materia alta e mai trattata spinge il poeta a coniare nuove parole: le condizioni di ineffabilità che accompagnano costantemente il Paradiso sono percepite dalla corona fiorentina non come un ostacolo alla propria espressione, ma come un motore di novità assoluta, attraverso il quale la creatività può manifestarsi compiutamente senza limite.

Vi sono naturalmente ulteriori esempi lessicali circa la novità apportata dalla Commedia, come i diffusi sicilianismi, latinismi, francesismi e provenzalismi, che ricalcano dunque una confermata tradizione letteraria alta e che possono essere dunque accolti di buon grado entro il lessico poetico. Dante non si ferma alla lingua dei letterati, poiché esplora anche i reconditi angoli della lingua utilizzata dalla letteratura di servizio, che certamente rispetto alla poesia godeva di ben minore prestigio. I termini che derivano da questi testi fanno in realtà parte del bagaglio culturale del poeta stesso, in quanto le scienze e le arti di cui egli adotta il linguaggio erano state più volte oggetto dei suoi interessi personali, da sempre tendenti all’enciclopedismo: si va dai termini dell’astronomia (emisperio, empireo, galassia, meridiano, orbita, orizzonte, plenilunio) a quelli della medicina (cervel, complessione “costituzione fisica”, membro), dalle parole della geometria (arco, diametro, circumferenza, parallelo, triangolo) a quelle della musica (arpa, giga, leuto).

Data la ricchezza del lessico dantesco non deve dunque stupire il numero di recenti studi condotti in questo ambito, a tal punto che già Tullio De Mauro non mancò di sottolineare il notevolissimo contributo che diede il Poeta alla lingua italiana. Nella Postfazione al GRADIT il linguista tiene a precisare che

«Quando Dante comincia a scrivere la Commedia il vocabolario fondamentale [dell’italiano] è già costituito al 60%. La Commedia lo fa proprio, lo integra e col suo sigillo lo trasmette nei secoli fino a noi. Alla fine del Trecento il vocabolario fondamentale italiano è configurato e completo al 90%. Ben poco è stato aggiunto nei secoli seguenti. Tutte le volte che ci è dato di parlare con le sue parole, e accade quando riusciamo a essere assai chiari, non è enfasi retorica dire che parliamo la lingua di Dante. È un fatto.»

 

Fonti

Testo:

  1. G. Patota, La grande bellezza dell’italiano. Dante, Petrarca, Boccaccio, Laterza, Bari 2015
  2. P. Manni, La lingua di Dante, Il Mulino, Bologna 2013
  3. T. De Mauro, Postfazione al GRADIT – Grande dizionario italiano dell’uso, UTET, Torino 1999

Immagini: turismo.ra.it

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