di Francesca Gentile
Essendo l’uomo un animale sociale, la sua quotidianità è intrisa di parole che danno consistenza ai pensieri, altrimenti astratti e custoditi gelosamente in un angolo nascosto della mente. Metterli in comune con un interlocutore è un atto di fiducia, in quanto si pensa che la persona che si ha di fronte sia disposta allo scambio comunicativo, non semplicemente aprendo il lucchetto delle proprie orecchie, ma pesando le parole che vi giungono e impegnandosi a sufficienza per articolare il messaggio di risposta. Per questo motivo, la capacità di selezionare a livello mentale ciò che stiamo per proferire è una necessità con cui dobbiamo confrontarci ogni giorno, se non fosse che molte delle parole prodotte dalle nostre corde vocali sono frutto dell’istinto.
Fin dalla tenera età veniamo invitati a riflettere prima di parlare e a contare fino a dieci prima di rispondere in situazioni che mettono a dura prova la nostra pazienza. Non sempre si esce vittoriosi da questa piccola grande impresa quotidiana e scontrarsi con il proprio o l’altrui pensiero che non sia stato minimamente filtrato nel passaggio tra mente e labbra è diventato tanto frequente quanto frustrante. Come dice Henry Ford, infatti, Pensare è il lavoro più difficile che ci sia e questo è probabilmente il motivo per cui sono pochissimi quelli che lo fanno.
Gli strumenti tecnologici a cui non riusciamo più a rinunciare, quali social network e servizi di messaggistica istantanea, di certo non ci aiutano. L’essere sempre online e condividere parte della propria vita ovunque ci si trovi sembra essere diventato un imperativo irrinunciabile, cosa che ci spinge a cinguettare con leggerezza qualunque cosa ci passi per la testa. Il dramma è che questa pratica si diffonde sempre di più anche nella vita reale.
L’estrema spontaneità della comunicazione a cui siamo giunti non apporta benefici né al parlante né al destinatario. Il dialogo diventa scialbo e non vale la pena di essere salvato nella mente di chi ascolta. Perché non evitare di conferire densità comunicativa a pensieri di questa inutilità? Questo è l’interrogativo a cui Socrate cerca di rispondere in un suo celebre dialogo, o almeno che per molto tempo gli è stato attribuito.
All’amico che vuole raccontargli a tutti i costi un fatto su una terza persona, rigorosamente assente al momento della conversazione, il grande filosofo greco pone una serie di domande, prima di farlo raccontare.
«Prima che me lo racconti, vorrei farti un test, quello dei tre setacci», dice Socrate.
Prima di raccontare qualcosa, è bene prendersi il tempo di filtrare ciò che si vorrebbe dire attraverso tre setacci. Il primo è quello della verità. Abbiamo prove che quello che stiamo per dire sia vero? Il secondo è quello della bontà. Ciò che vogliamo raccontare è qualcosa di buono? Il terzo è quello dell’utilità. È utile che il nostro interlocutore venga a conoscenza dei fatti che non vediamo l’ora di raccontargli?
«Allora quel che volevi raccontarmi non è né vero, né buono, né utile. Perché volevi dirmelo?», prosegue Socrate dopo aver ricevuto tre risposte negative dal suo interlocutore.
«Preferisco non saperlo e ti consiglio di dimenticarlo», conclude.
Setacciando questa storia, scopriamo in realtà che il filosofo che sa di non sapere è stato scomodato ingiustamente. Il racconto è opera dello scrittore statunitense Dan Millman, autore di veri e propri insegnamenti di vita più che romanzi. Il suo libro più famoso si intitola La vita del guerriero di pace. Autobiografico, il libro parla di come la vita dell’autore cambiò in seguito all’incontro di un grande maestro, che lui chiama Socrate. Proprio per via del nome che Millman ha attribuito al suo mentore, un polverone si è alzato nel tempo circa la paternità del racconto.
La falsa attribuzione della parabola dei tre setacci al filosofo non è che la prova del fatto che ciò che diciamo, giusto o sbagliato che sia, si diffonde irreparabilmente a macchia d’olio. Le parole pronunciate non possono tornare indietro. Se solo chi per primo ha divulgato l’attribuzione socratica della teoria dei setacci avesse messo in pratica il suo contenuto…
Fonti:
http://www.eticamente.net/83/dan-millman-storia-tre-setacci.html
http://psiche.org/recensioni/la-storia-dei-tre-setacci-di-dan-millman/