Il writer statunitense più famoso del XX secolo arriva a Milano a Palazzo Reale con la mostra intitolata “Keith Haring. About art”. Fino al 18 giugno sarà possibile vedere le 110 opere dell’artista, molte di dimensione monumentale, alcune inedite e mai esposte in Italia.
Lo scopo della rassegna è quello di rivedere l’opera di Haring alla luce della storia delle arti che lui ha compreso, assimilato e reinterpretato all’interno della sua produzione, creando uno stile unico e inconfondibile. I suoi lavori s’ispirano alla tradizione classica, al Rinascimento italiano, ma anche all’arte tribale ed etnografica, all’immaginario gotico e al cartoonism.
Interessanti risultano quindi i confronti diretti all’interno della mostra fra le opere di Haring e l’arte antica come la reinterpretazione della figura di Medusa, dei gemelli con la lupa o del fregio della Colonna Traiana. Nei suoi lavori non mancano nemmeno i riferimenti all’arte medievale come la ripresa della pala d’altare e l’ideazione di un immaginario fantastico e mostruoso sulla scia del bestiario tipico del Medioevo.
L’artista che però lo influenza maggiormente è Hieronymus Bosch. Haring rimane totalmente folgorato dal Giardino delle delizie, un trittico realizzato da Bosch nel 1480-1490. Ciò che colpisce lo statunitense è il senso di iper-realtà del quadro. L’intricato mescolarsi di figure simboliche viene ripreso in Untitled 1986, un’opera di grandi dimensioni piena di dettagli inquietanti e figure mostruose come in un Giudizio Universale.
Bisogna però ricordare che Keith Haring era soprattutto un artista del suo tempo, la cui arte esprimeva una controcultura socialmente e politicamente impegnata su temi quali droga, omosessualità, Aids, razzismo, minaccia nucleare, discriminazione delle minoranze, arroganza del potere. Problemi del suo come del nostro tempo.
“L’esperienza umana è fondamentalmente irrazionale. Io penso che l’artista contemporaneo abbia una responsabilità verso l’umanità: deve opporsi alla disumanizzazione della nostra cultura.”
Così dice l’artista nella sua biografia.
Tra i capolavori dell’esposizione da non perdere Walking in the rain, uno dei pochi quadri a cui l’artista diede un titolo. Datato 1989, rappresenta un’Arpia, cioè una rapitrice che “porta via le persone”, simbolo dell’Aids appena diagnosticata all’artista e che letteralmente gli porterà via la vita nel 1990 all’età di trentun anni.
Interessante anche Saint Sebastian (1984), santo protettore della peste e prima icona gay della storia, reinterpretato da Haring come patrono contro la peste dell’Aids.
Queste e tante altre opere magnifiche ispirate alla pop-art di Andy Warhol, dal quale Haring prende la figura di Topolino facendone un’icona contemporanea; alle maschere tribali di Picasso, magnifico a tal proposito l’accostamento delle grandi maschere di Haring con la Femme nue dello spagnolo; fino alle opere del primo Pollock, ai quadri di Klee e Dubuffet.
Una mostra interessante e inedita che presenta il vero Haring, non solo quello “delle spillette e dei murales”, ma anche lo studioso di semiologia e grande conoscitore dei musei. Un artista che aspirava a un’arte per tutti, vale a dire un’arte che deve comunicare da sola e che non deve richiedere spiegazioni per arrivare al cuore delle persone.
FONTI
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