Si è conclusa domenica 26 febbraio 2017 la mostra al Mudec di Milano che esponeva 140 opere di Jean-Michel Basquiat, artista prodigio americano conosciuto a partire dagli anni ’70. Nato a Brooklyn nel 1960, egli aveva un colore della pelle troppo scuro per gli Stati Uniti di quell’epoca, una caratteristica che porterà alcune ambiguità e ipocrisie nel corso della sua breve vita. Appassionato all’arte e al disegno fin dall’età di 4 anni, e in perenne conflitto con il padre, scappa di casa a 15 anni e a 17 già inizia a farsi notare per i suoi graffiti che firmava col nome di SAMO nel Lower East Side e a SoHo. A 19 anni godeva già di una certa fama.
Per comprendere al meglio le opere di questo artista maledetto è necessario conoscere le sue ispirazioni, la sua ottica, il suo stile. Fu avviato al mondo dell’arte e del disegno dalla madre la quale, a seguito di un incidente che gli capitò quando aveva solo 8 anni, gli regalò il famoso testo di anatomia Gray’s Anatomy di Henry Gray. Questo manuale lo ispirò profondamente, tanto che moltissime opere (come per esempio Braccio di Ferro del 1983 o il suo stesso Autoritratto del 1981) rappresentano parti del corpo umano. Altra importante ispirazione gliela diedero i cartoni animati, dal disegno dei quali l’artista newyorchese modella il suo stile. Infine – ed è ciò che più risalta – anche quando divenne un artista affermato non abbandonò mai la tecnica da cui era partito, portando i graffiti dalle strade suburbane e degradate alle mostre e alle collezioni (prima fra tutte, la sua prima esposizione internazionale a Modena, nel 1981).
Egli rappresenta quel mondo frenetico, consumista, superficiale che rappresentava anche Andy Warhol, del quale – peraltro – fu anche grande amico e che fu tra i primi a comprare sue piccole opere, riconoscendone il potenziale. Ma Jean-Michel Basquiat rappresentava il lato oscuro di quella società, quello più tetro e ipocrita. Ecco, quindi, svelato il significato delle sue prime firme: “SAMe Old Shit”. Egli rappresentava una New York in bancarotta, quella degli anni ’70 lontana dai fasti del recente passato, con le sue strade sporche, rotte, degradate; le sirene e i rumori delle sue vie; la puzza; la criminalità. Ciò si può notare molto bene nel caotico New York del 1981, in cui la città è rappresentata proprio nella sua cattiveria (segnata dai volti degli edifici) e nei suoi rumori, indicati nell’opera dalle varie lettere anche di diversi alfabeti. La decadenza sociale ed economica della Grande Mela è inoltre evidenziata dalla prevalenza dei colori grigio e nero.
Come già detto sopra, il suo essere afrodiscendente gli causò non pochi complessi interiori, tanto da desiderare ardentemente l’affermarsi come artista e vivendo la costante divisione della sua persona: se era acclamato e idolatrato come pittore, era anche continuamente discriminato per il colore della sua pelle. Basquiat porterà sempre nei suoi quadri i secoli di schiavitù cui gli afro discendenti erano stati e continuavano ad essere sottoposti, e ciò è reso in maniera cruda e impressionante in Procession del 1986. Realizzato non su tela ma su 14 aste di legno chiaro orizzontali appoggiate su 3 verticali, questo quadro raffigura la sofferenza di 4 ombre dipinte apposta in nero ad indicare la categoria d’appartenenza, che reggono in mano degli strumenti da lavoro e sono sofferenti, forse per aver appena perso un amico, il cui teschio è tenuto in mano – quasi come un trofeo – da un uomo più chiaro, qui reso in rosso che varia d’intensità e che li osserva, come compiacendosi della sua azione.
Si è accennato anche a un’amicizia con Andy Warhol, il Re della Pop-Art. I due, collaborando anche con Francesco Clemente, realizzarono per Bruno Bischofberger (gallerista del giovane newyorchese), una serie di dipinti in collaborazione, che in totale furono una quindicina. Ma anche dopo questa collaborazione per il gallerista, Warhol e Basquiat continuarono a dipingere insieme, ritrovandosi nello studio del primo in Union Square. I due si “aiutarono” a vicenda: Warhol suggerì a Basquiat di non limitarsi solo alla pittura tradizionale, usando anche la moderna stampa; dal canto suo, il giovane artista spinse l’autore di Disastro Arancione a tornare alla pittura a pennello dei suoi inizi. E questo condizionamento reciproco è ben visibile in Two Dogs del 1984 nel quale si alternano proprio stampa, pittura e disegno.
La vita tormentata e difficile di Jean-Michel Basquiat finisce all’età di 27 anni, causa overdose di eroina. Fin dall’adolescenza, quando esprimeva la sua arte sui muri degradati di New York, egli faceva uso di droghe, cominciando dal LSD. E l’età precisa di morte lo inserisce, insieme ad altri grandi artisti come Jim Morrison o Jimi Hendrix, nel Club dei 27.