Questa volta, la storia non è trita e ritrita. Ci teniamo a sottolinearlo perché non è scontato, è un dato che ci ha colpito.
La storia è originale, di nicchia, profuma di antiquariato e di mobili antichi.
Cominciamo proprio da qui: due uomini, amici per la pelle, che si incontrano di nuovo dopo anni (quarantuno, per l’esattezza), e che devono fare i conti con il proprio passato, con un episodio in particolare, causa della loro separazione. Due uomini, ormai vecchi, che ripercorrono una vita passata insieme.
Autore e narratore coincidono, non esistono prime persone. L’unico personaggio a cui è concesso il discorso diretto è Henrik, uno dei due uomini, ma nonostante questo il lettore ha l’impressione di avere un ventaglio di personaggi da cui assorbire le emozioni, i sentimenti, la psicologia, la condotta. Ci torneremo tra un attimo.
Intanto, ancora qualche parola sulla storia. Vienna come città dell’adolescenza, della giovane età, la città della spensieratezza, della felicità. La città dei sogni: quelli dei personaggi, quelli dei lettori a fine romanzo. A Vienna si svolgono la maggior parte dei continui flashback, dei ricordi dei due uomini. Due uomini, in fin dei conti si parla di questo. Henrik, ricco e con una famiglia importante alle spalle e Konrad, povero e con una famiglia costretta a fare dei sacrifici per garantirgli uno stile di vita dignitoso. Henrik e Konrad si conoscono, si trovano, diventano inseparabili, non si lasciano più. O almeno, così pare. Crescono insieme, diventano adolescenti e poi adulti insieme, insieme imparano a conoscere e affrontare la realtà. Poi, qualcosa va storto: una donna. Ecco, scrivendo questo articolo per un attimo abbiamo pensato di voler mettere in luce l’aspetto prettamente maschilista del romanzo. Davvero, è stato un pensiero che ha attraversato la nostra mente per una frazione di secondo e poi è andato via, archiviato, scomparso. Il motivo è evidente. Due amici inseparabili messi in crisi da ciò che rappresenta la rovina, la tentazione per antonomasia: il fascino irresistibile, funesto e rovinoso di una donna. Che sia questa la chiave, abbiamo pensato per un momento. Potrebbe. Potrebbe se decidessimo di considerare unicamente la trama, potrebbe se non leggessimo il libro e cercassimo un banale riassunto su internet, potrebbe se tenessimo distinti i fatti e le parole. Ma in un romanzo i fatti e le parole non sono mai distinti, si appartengono, si mischiano in continuazione e si influenzano vicendevolmente. E noi ci impegneremo a tenerli uniti. Alla luce di questo, possiamo sostenere che non sia il maschilismo, la chiave di questo romanzo. Ciò non significa che siamo in grado di fornirne una precisa, di chiave. Potremmo fornirne cento o nessuna, quindi abbiamo preferito andare per esclusione. Due uomini che litigano per una donna, la storia inizia qui e qui si esaurisce: i fatti sono questi. Le parole, invece, davvero moltissime. Le sfumature ancora di più, alcune talmente impercettibili da risultare evanescenti, impalpabili. Per questo, noi abbiamo deciso di affrontare Un punto del romanzo. Non sarà Il punto? Poco importa, un’opera esiste anche a discrezione del lettore, è del lettore nel momento in cui questi decide di leggerla.
Un punto, quindi. Un punto è che l’amicizia è un sentimento bellissimo, ma ha bisogno di spazi. Ciò che traspare in maniera evidente dal romanzo è che gli spazi, tra i due personaggi, proprio non esistano. Anzi, la percezione che abbiamo avuto è che siano stati proprio i personaggi a eliminare questi spazi, a renderli sempre più sottili, evanescenti, fino a decidere di farne a meno. E da lettori avremmo voluto fermarli, dirgli “aspettate un attimo, tenete qualcosa per voi, non mettete in gioco tutto”, perché l’epilogo di una relazione in cui due persone arrivano a dipendere in maniera così vincolante non può che essere un’inevitabile, dolorosa, incompresa e violenta separazione. Incompresa perché nessuno ha la piena consapevolezza di non avere più un proprio spazio fino a che questo non viene invaso. Violenta perché il sentimento che si sviluppa è subdolo, comincia con l’insofferenza, prende le sembianze dell’invidia e diventa odio. Odio che viene messo a tacere, represso nella parte più profonda e inconfessabile della propria anima dove non può far altro che diventare sempre più grande e poi esplodere. O implodere, come in questo caso -leggere per credere-. Ecco perché non c’è traccia di maschilismo, in questo romanzo: Krisztina è solo un pretesto, un banalissimo spazio che viene invaso. La verità è che due uomini non possono condividere tutto, ogni uomo ha bisogno di qualcosa che sia unicamente proprio , da tenersi stretto e non dividere con nessuno. La persona amata è un esempio perfetto.
Torniamo adesso ai personaggi. Abbiamo detto che l’unico a cui viene attribuito il discorso diretto è Henrik, che dopo anni dice a Konrad tutto quello che ha rielaborato in quel periodo. I suoi pensieri sono ordinati, vecchi, usati, percorsi e ripercorsi, sembra che avessero solo bisogno di venire alla luce. Il lettore -questo lettore, almeno- ha atteso per tutto il romanzo che Konrad prendesse la parola e dicesse la sua. Non succederà mai. Piccolissimo neo, a nostro avviso. Neo che viene però edulcorato da un fatto fondamentale: nonostante solo Henrik sembri avere il dono del linguaggio, i personaggi sono tantissimi e ognuno viene delineato con grande precisione. Krisztina e la sua voglia di libertà, il padre di Henrik e la sua durezza, Konrad e la sua malinconia. E l’aspetto paradossale è che, fatta eccezione per Konrad, tutti i personaggi sono morti. Neo assolutamente perdonato quindi, se l’autore riesce addirittura a riportarli in vita e offrirli al lettore in maniera così chiara e nitida.
Un romanzo piccolo e denso, pieno, un grandissimo spunto di riflessione, “Le braci”. Questi sono solo alcuni dei pensieri che hanno attraversato la nostra mente, alcuni sono passati e poi andati via, altri hanno trovato terreno fertile, si sono fermati e sono ancora lì. Una storia originale che profuma di mobili antichi, ha il sapore acidulo del caviale e rimbomba nelle orecchie come il silenzio assordante. È colorata di marrone e di verde, ha l’aspetto di un salone enorme e pizzica come il freddo dell’inverno. Una storia da leggere e poi rileggere dopo qualche anno, da tenere: sul comodino per bellezza, a mente per sicurezza.