La moda è mezzo di identificazione, non ci qualifica come persona ma dice un po’ di quello che siamo. Sono quello che sono, ma anche quello che appaio, che mostro, che voglio far vedere agli altri. Il mio abbigliamento diventa, pur non volendolo, un mio modo di essere, mi catalizza inconsapevolmente in una categoria, se pur è brutto a dirsi, di appartenenza; Anche la non curanza al mio aspetto o al mio modo di vestire è inevitabilmente una scelta che dice in parte chi sono, o chi vorrei essere. Poi c’è chi di questo ne fa il proprio mezzo di espressione e di comunicazione. Come l’arte la moda diventa lo sfogo creativo di un individuo. Arte e moda sono due facce della stessa medaglia. Materia, colore, ricerca di un ideale di bellezza o ancora di una rottura di schemi e convenzioni fanno parte di entrambe. Impongono stereotipi che allo stesso tempo attraversano e provocatoriamente superano.
In un primo momento l’abbigliamento denotava più un ceto sociale, e non tanto la volontà di apparire in un certo modo piuttosto che in un altro. In continuo contatto l’una col l’altra, si assiste a un momento chiave con il futurismo, cubismo, costruttivismo, fase in cui l’arte analizza studia e valuta la moda come mezzo di costruzione della propria identità. Filippo Tommaso Marinetti, padre del futurismo italiano, parla di “insostenibile leggerezza della moda” come codice di comportamento ideale. Le convenzionali abitudini di abbigliamento, l’utilizzo degli abiti tipicamente borghesi, il nero, il grigio, lasciano spazio alle geometrie più svariate e inusuali.
E’ il trionfo dei colori, della provocazione, del superamento..
La moda diventa per gli artisti anche un modo per combattere l’omologazione.
Sono gli anni delle avanguardie anche cinematografiche, dove gli schemi sono rotti per portare avanti l’idea di un diverso, di un altro al di fuori di me, dove l’assurdo ha la sua giustificazione nella rappresentazione di una realtà non circostante ma inconscia.
FONTI
Copertina (Foto dell’autrice)