di Ettore Gasparri
Un’anziana donna che trascorre il suo tempo a curare le sue piante e i suoi fiori. Così alcuni descrivono Im Chaem, una 74enne cambogiana che vive nel villaggio di Anlong Veng. Ma la storia che altri raccontano è una storia oscura, surreale e terrificante che si intreccia con la storia della Cambogia, ed in particolare della brutale dittatura di Pol Pot e degli Khmer Rossi.
Nel 2015 infatti la donna è stata accusata, dal tribunale delle Nazioni Unite, di aver perpetrato dei crimini contro l’umanità e nello specifico, insieme a Yim Tith, altro funzionario della dittatura comunista, di essere responsabile della morte di 560mila persone. Numero enorme che però rappresenta circa un quarto dei 2,2 milioni di morti sotto il regime di Pol Pot in vigore tra il 1975 e il 1979.
Le accuse contro Im sono però state fatte decadere da una sentenza del tribunale cambogiano anche se è concreta la possibilità che i più alti funzionari cambogiani, che in molti casi erano legati al precedente regime, abbiano fatto di tutto per insabbiare la questione al fine di evitare uno scandalo. Il tribunale nato infatti nel 2006 per far luce sulle vicende più buie del periodo degli Khmer Rossi ha sempre trovato grossi ostacoli nel suo lavoro: solo tre infatti le condanne emanate, mentre in un caso il processato è morto di cause naturali prima della condanna, in un altro è stato dichiarato inabile al processo a causa dell’ormai raggiunta vecchiaia e contro tre funzionari indagati non sono mai stati emessi mandati di cattura. Si aggiunge ora il caso di Im che per di più glissa l’argomento con le sue dichiarazioni: “Non mi piacciono le accuse contro di me. Non voglio pensarci. Non voglio avere alcuna difficoltà e voglio solo vivere in pace”.
Ma non sono solo gli alti funzionari governativi a fingere che ciò non sia successo, ma anche membri della comunità della donna che forse non sanno, o non vogliono sapere, ciò che accade 40 anni fa.