Sant’Agostino: “Le confessioni” e la creazione del sé

Venuto alla luce il 13 novembre 354 a Tagaste, nella Numidia dell’Africa proconsolare, Agostino fu uno dei maggiori filosofi, scrittori e uomini di fede della tarda antichità.

L’educazione scolastica del giovane, il cui nome originario era Aurelio, prese avvio nelle città di Tagaste e Madauro (quest’ultima già nota agli antichi, essendo essa stata la patria di Apuleio) e si concentrò sulla grammatica e sulle letterature greca e romana. La giovinezza di Aurelio dunque si svolse in un ambiente ancora fortemente romano sebbene già vacillante a causa delle sempre più numerose incursioni di popoli non pacifici entro i confini dell’impero. In un secondo momento il ragazzo si trasferì a Cartagine, dove all’età di 17 anni risultò essere molto impegnato negli studi di retorica; fu l’inizio di un periodo travagliato sul piano spirituale: egli stesso lo ricorda come un periodo costellato di vizi, sessualità, manicheismo e profonda seduzione esercitata dal peccato. Le cronache riportano la notizia della nascita di un figlio, Adeodato, la cui madre non divenne mai sposa effettiva di Aurelio, limitandosi ad essere, con il consenso di entrambi, solo una compagna durante i primi anni di vita del piccolo.

Il 384 segna un accapo nella vita dell’ormai divenuto maestro di retorica: dopo essersi stabilito a Roma, si spostò a Milano, dove l’influsso deciso di Ambrogio consentì al berbero l’effettiva conversione al cattolicesimo: il battesimo ebbe luogo la notte di Pasqua del 24 aprile 397 e l’africano mutò il proprio nome in Agostino. Non fu solo il nome a mutare, ma anche e soprattutto il suo credo religioso. Già affascinato dal cristianesimo grazie alla madre, anch’ella di fede cristiana (a differenza del marito, ancora pagano) Agostino poté spalancare le porte del suo animo alla nuova fede, vissuta sempre in un rapporto turbolento costellato di dubbi, domande, atroci questioni poste su di sé e sul rapporto con Dio.

Proprio nell’anno del battesimo, il 397, prese avvio la stesura dell’opera che lo rese famoso presso i suoi contemporanei, Le confessioni. Terminate attorno agli anni 401-402, esse divennero ben presto il secondo libro più diffuso e famoso nel mondo dopo le Sacre Scritture. L’opera consta in totale di 13 libri che possiamo separare in due blocchi: il primo, libri I-X, e il secondo, libri XI-XIII; il libro X funge da ponte di coesione fra le due parti, la prima delle quali racconta la vita del giovane insegnante sino al 388. Data la grande diffusione e fortuna che ebbe subito l’opera, molti amici chiesero ad Agostino di ampliarne le dimensioni con l’aggiunta di tre libri oltre al libro X, nel quale sono illustrate le motivazioni che hanno condotto il berbero a continuare la confessio. Qualcuno ritiene invece che tale libro sia stato solo un’aggiunta scritta per l’amico Paolino di Nola, il quale aveva chiesto notizie di Agostino all’amico di entrambi, Alipio.

Se i primi libri trattano dell’Agostino “narrato”, quello che fu, gli ultimi trattano dell’Agostino “narrante”, ossia quello che è al momento della stesura dei capitoli finali. Il filo conduttore dei primi libri, inoltre, è la continua interrogazione di sé e della propria anima spirituale, mentre gli ultimi libri sono caratterizzati dall’analisi delle Sacre Scritture, utilizzate come fonti per ottenere una qualche risposta circa i suoi dubbi. Scrive infatti nelle Retractationes: «Dal primo al decimo libro si parla di me; negli altri tre delle sacre Scritture, dalle parole “In principio Dio fece il cielo e la terra” sino al riposo del sabato.»

Le motivazioni che hanno condotto il numida alla stesura della sua opera sono, a detta degli studiosi, molteplici, a tal punto da dividere ancora oggi coloro che si avvicinano al testo con intenti di ricerca. Un’ipotesi piuttosto accreditata sarebbe quella secondo la quale Agostino si sarebbe servito di un’opera scritta per giustificarsi di fronte alle accuse dei donatisti, eretici che fomentavano una sua cattiva fama essendo a conoscenza delle sue intemperanze di gioventù; si è pensato anche all’eventualità del bisogno di una pubblica confessione, come era praticata dai catecumeni. Ciò che è certo è che non si sarà mai sicuri circa una precisa e determinata causa; forse la più notevole motivazione riguardo la nascita della confessio agostiniana è l’estremo bisogno di ogni figlio di Adamo di interrogare il proprio passato e il proprio presente, facendo parlare ciò che non esiste più e ciò che invece esiste nel momento in cui si vive, avendo sempre come stella polare l’immagine di Dio padre. L’opera affiora come una confessione riportata per iscritto, nella quale il singolo uomo Agostino dà vita al dialogo intessuto con Dio per molti anni della sua vita. Tutto si svolge entro un alto grado di partecipazione dell’individuo della vita del mondo e della natura, elevandosi dunque a universale: Agostino lascia la schiera dei filosofi, cui egli pure appartiene per educazione, decidendo di entrare nella schiera dei fedeli, cui egli appartiene per vocazione.

La forma letteraria della confessione rappresenta una scelta non indifferente dal punto di vista stilistico: Agostino risulta dunque essere il padre di un nuovo genere, l’autobiografia. Lo strumento che egli sceglie gli permette di esprimere ogni proprio dubbio nella consapevolezza di avere un lettore a cui rivolgersi: a differenza delle Scritture, che costituiscono la base dell’opera per il ragguardevole numero di citazioni dai Salmi, la parola scritta non appartiene a un Dio che si manifesta e si inserisce, come i poeti antichi, nel superato concetto di ispirazione, poiché le parole di Agostino sono scritte da un uomo singolo e non si pongono il compito di essere una rivelazione. Agostino è ben consapevole che la storia che egli riporta è privata, personale e intima, e che dunque non ha la pretesa di rendere manifesta un’assoluta verità, ma è altrettanto cosciente che il suo operato possa risultare utile alle anime perse: «Le confessioni dei miei mali trascorsi – che tu mi hai perdonato e hai sepolto, per darmi gioia in te, trasformando la mia anima con la fede e con il tuo sacramento –, lette o ascoltate, sono di sprone al cuore, perché non si addormenti nella disperazione e dica: “Non ci riesco”.»

Agostino si inserisce nel sentiero della tradizione classica, tanto cristiana quanto pagana, come testimonia il gusto stesso dell’opera verso la speculazione dei filosofi greci e latini – si possono citare Socrate e il suo discorso apologetico redatto da Platone –, l’ammonimento di natura morale alla maniera di Seneca, l’analisi psicologica di Marco Aurelio, di cui ricordiamo un tentativo letterario di comprendere in modo incompleto la vita. La confessione di Agostino però illustra la nascita di un uomo nuovo, che racconta la propria esistenza come in un tribunale spirituale dove giudice e imputato coincidono. Malgrado il gusto per le avversità e le peripezie il numida non si lascia traviare dalla tentazione di redigere un’opera eroica: la scrittura appare sincera e onesta, priva di colpi di scena e suggestioni, non banale e non romanzesca, la cui storicità non è mai messa in dubbio.

Si può dire che l’Agostino filosofo appare comunque fondato su solide basi retoriche: a detta di Auerbach il santo era un maestro di retorica e di virtuosismo, come dimostra la sua occupazione iniziale a Roma e Milano e come dunque appare dallo stile scrittorio: omoteleuti, chiasmi, anafore, parallelismi, simmetrie, ossimori e figure etimologiche costellano l’elaborazione del pensiero. Fondamento essenziale del numida è dunque la visione romana della retorica e della dialettica e del loro uso assiduo e imperituro come strumento per combattere la decadenza del vivere, la cui scarsa eccitazione è risolta in una perfetta condotta stilistica.

Le confessioni pongono al proprio centro strutturale e argomentativo l’individuo singolo, il: si può parlare dunque di sistema tolemaico per intendere la visione che Agostino ha di se stesso e del mondo. Tutto ciò che è esterno a lui è a lui connesso, ma posto in un altro piano, inferiore non in senso assoluto, ma limitatamente al colloquio che redige. Nell’opera non traspare certo la natura di divertissement, in quanto la scrittura non è mimesi, ma filosofia della vita: dice Pascal: «L’ordine del pensiero consiste nel cominciare da se stessi, dal proprio autore e dalla propria fine.

 

Fonti:

Testo: Sant’Agostino, Le confessioni, a cura e traduzione di Dag Tessore, introduzione di Vittorino Grassi, Roma, Newton Compton 2011
Sant’Agostino, Confessioni, a cura di Carlo Carena, postfazione di Mario Dal Pra, Milano, Mondadori 2014
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