“La canzone di Marinella”, la ballata scritta da Fabrizio De Andrè nel 1962, non è un testo nato dall’immaginario di uno dei migliori cantautori italiani di sempre ma nasce da un reale fatto di cronaca nera.
La storia di una donna che “scivolò nel fiume a primavera” e che visse “solo un giorno come le rose” è una delle ballate più dolci dell’ultimo secolo. Il cantautore ha dichiarato più volte di essersi ispirato ad un fatto di cronaca nera letto su un giornale di provincia a quindici anni: “la storia di quella ragazza mi aveva talmente emozionato che ho cercato di reinventarle una vita e di addolcirle la morte”. In molti hanno cercato quel trafiletto di cronaca, fino a giungere alla conclusione che la ragazza “sola senza il ricordo di un dolore” che viveva “senza il sogno di un amore” non portava il nome di Marinella ma di Maria.
Si trattava di Maria Boccuzzi, una giovane calabrese trasferitasi a Milano all’età di 9 anni che a causa di un amore sbagliato, per cui lasciò la famiglia, si ritrovò a fare la prostituta. Sotto la luna del 28 gennaio 1953 venne uccisa con “gli occhi stanchi” da sei colpi di pistola e lasciata sul greto del fiume Olona ma, purtroppo, il vento non la portò sopra una stella e nessun “giudice [..] arbitro in terrà del bene e del male” riuscì ad affidare al boia chi aveva assassinato la povera Maria.
Lei non trovò il suo “re senza corona e senza scorta” bussare “tre volte un giorno alla sua porta” e non poté vivere la sua ultima notte d’amore con lui che, dopo che scivolò di nuovo nel fiume, non volle credere alla sua morte e continuò a bussare per altri cent’anni. Maria è un’anima il cui ricordo è stato addolcito da Faber, che ha dato una nuova vita ad “una storia sbagliata” di chi per amore ha perso la famiglia e per fame ha perso la vita.
Un riscatto per quella povera anima salvata dalla poesia di un immenso cantautore sempre “in direzione ostinata e contraria”.