L’emancipazione femminile è passata per vari step nel corso del tempo e, in base ai vari luoghi nel mondo, ha raggiunto livelli differenti. Se l’obiettivo classico dei diritti civili è stato raggiunto e se sull’uguaglianza lavorativa ci stiamo lavorando, questo processo passa anche per il sesso. Che anche le donne amino i porno è ormai appurato, come emerge dai dati rilasciati da PornHub, secondo cui, nel 2015, il 24% degli utenti, su un totale 60 milioni di visitatori al giorno, è di sesso femminile. Alcuni ricercatori dell’Università di Boston, Ogi Ogas e Sai Gaddam, hanno però dimostrato in un loro studio che il gentil sesso preferisce leggerli piuttosto che guardarli. Ma una capatina su qualche sito a luci rosse non manca mai. E come si muove l’industria del porno a riguardo?
Se è vero che esistono categorie come Lesbian, Female Friendly e Romantic, è anche vero che nella stragrande maggioranza dei video porno la donna ha ancora il ruolo di oggetto sessuale. Sexy e ammiccante, la cinepresa si concentra su di lei, sulle sue forme, sul suo volto, sulle sue espressioni. E l’uomo? Il suo aspetto fisico risulta secondario e talvolta non si vede nemmeno che faccia abbia, quando ad una donna farebbe invece piacere trovare un bel ragazzo, fisicato e prestante. Non che l’industria pornografia sia un ambiente di lavoro negativo per le donne, solo che il prodotto finale può apparire per certi aspetti degradante. Negli ultimi tempi sta però avvenendo una sorta di rivoluzione all’interno del settore della pornografia. Da una parte ex-attrici porno che continuano in questo campo come registe, dall’altra una nuova pornografia in tempo reale via webcam.
La prima pioniera di quella che è stata poi chiamata “pornografia femminista” è Candida Royalle, morta lo scorso anno, che già negli anni ’80 ha colto la curiosità delle donne verso il mondo del porno e, per rispondere alle loro esigenze, ha creato la casa di produzione Femme Production. Ha fatto da apripista ad una serie di donne desiderose di ampliare il pubblico della pornografia. I loro lavori hanno un impianto narrativo maggiormente sviluppato: non iniziano con una donna che si spoglia su un divano senza un motivo, ma creano l’atmosfera adatta per far entrare nel giusto mood lo spettatore. Le riprese cercano di non concentrarsi solo sui genitali, ma di cogliere i dettagli e di rappresentare degli adulti che hanno un rapporto sessuale assolutamente paritario. Potenzialmente, il mercato di questo porno al femminile (che poi piace anche agli uomini) può estendersi su una clientela molto ampia e quindi fruttare anche parecchio.
Per quanto riguarda le chat porno via webcam non sono altro che l’evoluzione delle linee telefoniche hard, che comunque esistono ancora. Le chatroom possono essere pubbliche o private e il pagamento è facoltativo nelle prime e in relazione alla durata della chat nelle seconde. C’è interazione tra i due capi della webcam, quindi le performer possono esaudire le richieste dei clienti. I vantaggi? Prima di tutto è la performer a dettare le condizioni e quindi a controllare la propria immagine. Rifiutandosi di fare qualcosa si perderanno magari coloro che partecipano in quel momento della chatroom, non il contratto di lavoro. Inoltre è facile guadagnare in questo modo, basta una webcam e una buona connessione ad internet. Ma, nonostante la sicurezza delle mura domestiche in cui si svolgono le riprese amatoriali, c’è il rischio che i clienti registrino e diffondano in rete le performance.
Quelle che erano le vecchie lotte femministe contro un’industria pornografica che sfrutta la donna e la rende schiava e vittima del profitto paiono, alla luce di questi di due esempi, ormai superate. Ma poter spegnere la webcam quando si vuole non è ancora emancipazione. Il cammino è ancora lungo affinché la parità dei sessi entri in modo definitivo nei porno ma anche e soprattutto nei letti di tutti noi. Il sesso in generale resta ancora troppo spesso un tabù e ciò non permette un dialogo aperto e paritario a riguardo.
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Fonti: The Conversation – Focus – PornHub – The Guardian
Un commento su “Le donne, la pornografia e l’emancipazione”