Lo spopolamento delle campagne interessa tutte le regioni italiane, ma nel caso di Civita di Bagnoregio, questa triste peculiarità l’ha resa unica e caratteristica. Non a caso viene chiamata “la città che muore”. A dire il vero questo piccolo borgo, attualmente abitato da 10 persone, che domina la Valle dei Calanchi, al confine tra Lazio e Umbria, ha iniziato il suo declino demografico già alla metà del XVII secolo.
La sua storia ha radici antichissime: costruita su una rocca tufacea dagli etruschi, Civita è stata una città molto fiorente. Il motivo della sua ricchezza era la posizione strategica e l’abbondanza d’acqua. Tuttavia quest’ultima è stata anche la sua condanna, poiché il terreno sul quale sorgevano gli edifici è sempre stato soggetto a sismi e smottamenti, dovuti anzitutto ai frequenti terremoti, ma anche ai numerosi torrenti che scorrevano nelle zone vicine. Infatti la morfologia della Valle dei Calanchi è simile a quella dei canyon, scavati nei millenni dai corsi d’acqua, che ne hanno modellato il terreno argilloso.
Il nome del paese è legato a una legenda del VIII secolo, secondo la quale il re longobardo Desiderio si fermò alla stazione termale nei pressi di Civita per curare una malattia. Così venne adottato il toponimo di Balneum Regis, dal quale deriva il termine Bagnoregio.
Prima del XVII secolo, l’attuale sito turistico era parte di un’area abitata molto estesa, della quale rappresentava semplicemente un quartiere, chiamato Rota. Ma le catastrofi naturali ne segnarono il destino: nel 1695 un violento terremoto distrusse tutte le case della valle, anche a causa del franamento del terreno, già eroso e intriso d’acqua dai fiumi circostanti. Ma la causa principale fu il disboscamento della zona, che nel corso della storia aveva sempre retto grazie alle radici degli alberi che tenevano saldo il suolo friabile.
Le sorti di Bagnoregio erano segnate, poiché a seguito del sisma crollarono le vie di comunicazione che la collegavano con il resto del mondo. L’unica strada rimasta, tuttora utilizzata, è un sottilissimo e lungo viadotto di cemento.
Ma questo isolamento è il motivo principale della sua bellezza. È quello che dà il fascino alla città, che secondo il detto popolare è morta, ma turisticamente sta vivendo una seconda giovinezza grazie ai viaggiatori, soprattutto stranieri, che amano scoprire posti sconosciuti al turismo di massa. Architettonicamente è simile ai paesi dell’alto Lazio, come Orte, i quali dominano le valli circostanti. Anche i colori della pietra con la quale sono stati eretti gli edifici sono simili a quelli del comune laziale. Ma l’atmosfera silenziosa, per certi versi inquietante, da film fantasy la differenziano notevolmente. Per arrivarvi bisogna camminare per il lungo ponte, molto ripido, che può scoraggiare chi non ama le passeggiate “impegnative”. Ma anche questo è parte dell’esperienza che Bagnoregio offre. Una volta arrivati in cima il paesaggio è suggestivo, poiché dalla rocca si ha un panorama mozzafiato. Le case vuote, lasciate intatte da secoli a questa parte, fanno pensare a un gigantesco presepe, nel quale però i personaggi non sono stati inseriti. Un vero e proprio viaggio fuori dal mondo e dal tempo.
È una realtà che bisogna preservare, perché nonostante sia un museo a cielo aperto, se i pochi residenti rimasti dovessero abbandonarla sarebbe condannata a cadere nell’oblio. La speranza di salvezza è legata al business che creano i visitatori, grazie ai quali forse è possibile incentivare un ripopolamento del borgo, per evitare che venga dimenticato.
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