Contro la lamentela

Lamentarsi: sarà l’eccesso di consonanti nasali, o forse quella liquida iniziale. O forse, il fatto che usata in maniera riflessiva, rappresenti un ripiegamento su se stessi al limite del narcisistico. Ma comunque, già la parola è fastidiosa. Irritante, respingente e anche un po’ soporifera.

Premessa: questo non vuole essere un articolo contro le lamentele in toto, in alcuni casi è giusto protestare e dire la propria opinione. Ma poi ci sono altre occasioni in cui il lamento, quella cantilena ripetuta compulsivamente, un tono di voce basso e nasale, gli occhi a cerbiatto, non portano a niente. Se non all’emicrania del proprio interlocutore. Qualche esempio.

La politica. Primo motore e primo mobile di qualsiasi lamentela. “Fa tutto schifo“, questa la motivazione principale. E poi: “la politica non esiste più, non andrò a votare…” E la mia preferita: “Cinquant’anni fa era tutto diverso“. Bene. Ammettiamo che la situazione politica italiana non sia nel momento del suo massimo splendore, che non sia particolarmente accattivante, stimolante, ma a pensarci bene, lamentarsi a cosa serve? A cambiare le cose? Continuare a ripetere – e a ripetersi – che non c’è niente da fare, che tanto vale arrendersi e disinteressarsi della politica, a cosa ci porterà? Quello che intendiamo dire, è che lamentarsi è facile. Gettare fango sul Governo, sui senatori, è semplice, soprattutto perché quello è un ambiente già infangato di per sé, anche senza il nostro aiuto. Anzi, noi dovremmo cercare di cambiarlo, di risollevarlo, di migliorare la politica, se non ci piace e non rispecchia i nostri valori. Ma invece no. Lamentarci è tutto quello che sappiamo fare. Smettere di andare a votare, disinteressarci, occuparci di altro. Tutto questo con il grandissimo aiuto dei telegiornali, che ci propongono ogni giorno migliaia di servizi di cronaca nera ma non si prendono la briga di spiegarci che fine stia facendo la politica del nostro Paese.
Il referendum di dicembre, ad esempio. Un enorme interrogativo, per la maggior parte delle persone. Davvero, fate una prova. Chiedete in giro che cosa rappresentasse, per cosa si sia votato. Su dieci persone, siamo pronti a scommettere che almeno quattro non sapranno di cosa si trattasse, tre useranno frasi fatte e solo i restanti sapranno dare una spiegazione esaustiva. È una vergogna. Soprattutto perché la maggior parte di queste persone, interrogate sulla situazione politica attuale, si dichiareranno indignate, deluse, disilluse. Ma, ancora una volta, è facile biasimare i telegiornali, che sembra ce la mettano tutta per confonderci le idee.

Più difficile è scuotersi, levarsi dalla testa l’idea che spetti ad altri fornirci informazioni e cominciare a informarci da soli. Andiamo a leggere cosa abbia chiesto questo referendum, cosa proponesse, cominciamo a pensare con la nostra testa, perché davvero, la classe politica non vede l’ora che il nostro cervello smetta di funzionare e diventi uno strumento da poter gestire a suo piacimento. Ebbene, noi sbuffiamo perché nessuno ha il coraggio di guardare in faccia la propria frustrazione e sporcarsi un po’ le mani: fa tutto schifo? Benissimo. Allora facciamo in modo che non sia così. Informiamoci, entriamo nel meccanismo della politica, proviamo a guardarlo più da vicino. O almeno, chi davvero si dichiara disinteressato smetta di lamentarsi, per cortesia.
Un altro esempio.

L’ambiente. Cercheremo di parlarne evitando luoghi comuni, cercando di non sfociare nel perbenismo. Inquinamento, buco nell’ozono, sono argomenti all’ordine del giorno. Giustamente, perché si tratta di problemi reali. E la gente è tutta un lamento: lo smog, le macchine, gli sprechi, i consumi, “dove finiremo?” Ancora una volta: giustamente. Ma le persone che ostentano questa grande preoccupazione nei confronti del nostro pianeta, si fanno prendere dalla pigrizia quando si tratta di attraversare la strada e recarsi alle isole ecologiche per gettare i rifiuti, ad esempio. Che poi, a pensarci bene, lamentarsi è più faticoso e meno produttivo di una passeggiata. Ma questo fa parte delle contraddizioni dell’animo umano.

Una cosa, poi: i cani. Animali meravigliosi, di compagnia, che riescono a rischiarare una giornata uggiosa. Ma sono esseri viventi e, come tutti gli esseri viventi, hanno dei bisogni fisiologici. Ecco, la gente che cammina per strada, però, non vorrebbe – e non dovrebbe – essere messa al corrente di questi bisogni fisiologici. Davvero, padroni di cani, vi crediamo sulla parola quando dite che il vostro cane è in ottima salute, non abbiamo bisogno della prova lampante sotto i nostri occhi. Anzi, sotto le nostre scarpe.
E ancora, le strade sono sporche, basta guardarsi intorno (o in basso) per notare pezzi di carta, mozziconi di sigaretta, buste di plastica. Però basta non trovare un cassonetto nei dintorni per indurre qualcuno a gettare i resti del proprio pranzo per terra.
Le macchine, il traffico, un consumo continuo. Ormai prendiamo la macchina anche per compiere un tragitto di dieci minuti, e poi ci lamentiamo perché c’è traffico, perché non troviamo parcheggio. La bicicletta, signori! Non storcete la bocca, davvero: guardate che nel 2016, nell’era del consumo e del digitale, la bicicletta è avanguardia. Oltre al fatto che un giro in bici a Roma è, forse, tra le cose più belle del mondo.

E poi, il lamento dei lamenti: l’Italia. La bellissima, disordinatissima, buffissima Italia. “In Italia non c’è lavoro, in Italia non funziona niente, l’Italia non ha futuro. Il che, in qualche misura, può essere anche vero. O meglio, lo sarà sicuramente, se andiamo avanti così. Se ci accontentiamo del fatto che il nostro sia un Paese in via di estinzione e decidiamo di maltrattarlo – o di abbandonarlo – perché “tanto ormai peggio di così“. Niente terrorismo contro chi decide di andare a vivere/studiare/lavorare all’estero, per carità. Non vogliamo fare leva sul senso di colpa. Ma chi decide di andarsene – soprattutto se è giovane e talentuoso – deve sapere che nel suo piccolo sta contribuendo all’invecchiamento precoce di un Paese che, di invecchiare, pare non abbia alcuna voglia.

Forse abbiamo generato qualche senso di colpa. Ci dispiace, non era questo il nostro intento. Né vorremmo risultare moralisti, patriottici o perbenisti – soprattutto perbenisti: questo proprio no. Questo articolo non è un attacco a chi si sente confuso nel nostro Paese, a chi non trova riscontro in una classe politica obiettivamente assente, a chi non sa più dove mettere le mani (a chi getta le carte per strada sì, però). Soprattutto perché ci rendiamo conto di quanto la politica e l’informazione rendano difficile avere un’idea di quello che succede e rendano quasi impossibile poter progettare un futuro dignitoso. Questo articolo è solo una critica ferrata contro chi si lamenta e basta. Perché, davvero, lamentarsi è inutile, fastidioso, irritante, stancante, faticoso, e soprattutto non cambierà le cose.

L’azione cambia le cose, il movimento, la capacità di reagire, o quantomeno di provarci. Allora, siamo tutti d’accordo che la vita è ingiusta e il destino triste, però davvero, non continuiamo a ripetercelo, gli errori altrui non possono essere un alibi per rimanere fermi. O almeno, se proprio ci tenete a crogiolarvi nei vostri lamenti, evitate di condividerli con noi, perché non sono interessanti. Anzi, ci fanno venire l’emicrania.


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