L’intervista con i Tortuga è stata caratterizzata da tre elementi fondamentali: risate, occhi che si fanno luminosi nel ricordare tutta la strada percorsa finora e bollicine che corrono verso la superficie del boccale di birra che ognuno di noi ha di fronte. Ci sono interviste che possono cominciare in maniera più o meno banale, in maniera professionale. Questa, invece, si è svolta con la stessa atmosfera che si crea tra amici di vecchia data.
Correva l’anno 2009: è in questo periodo che i Tortuga nascono con la formazione odierna. Alla voce c’è Andrea Donapai, alla chitarra Michelangelo Corbia, al basso Gianluca Torre e alla batteria Francesco Torre. Sono tra gli ultimi rappresentanti di quella che può essere ritenuta la “vecchia scuola”: sono tra coloro che hanno studiato come suonare uno strumento, che si sono chiusi dentro a una sala prove ed hanno lavorato fino a trovare un sound che li caratterizzi e che li faccia distinguere dagli altri gruppi, sia del panorama sardo che di quello italiano. Molteplici sono le influenze riscontrabili: dal grunge al rock americano in tutte le sue sfaccettature. Scelgono di comporre i loro testi in italiano e optano per questa soluzione in un contesto musicale in cui l’inglese sembra un elemento imprescindibile, quasi fosse l’unico ingrediente in grado di far arrivare al successo.
I Tortuga, però, non sono soltanto una serie di informazioni che chiunque potrebbe reperire parlando con loro. I Tortuga sono sì un concentrato esplosivo di tecnica, cultura musicale e di indiscutibile talento, ma sono anche e soprattutto ragazzi pronti a mettersi in gioco e a vivere ogni situazione (voluta o non voluta) fino in fondo, senza risparmiarsi. Non disdegnano l’alcol (nel giusto contesto) e affermano di avere un futuro non solo come musicisti, ma anche come principali animatori delle feste più disparate (soprattutto di quelle in cui la metà degli invitati è astemia e quindi “qualcuno la birra la dovrà pur finire“).
Credono negli insulti pedagogici e anche nella birra calda, che può ispirare tendenze musicali diametralmente opposte: Il diario dell’inverso (primo lavoro pubblicato dal gruppo e che da molti è stato ribattezzato con nomi sempre diversi, come Il diario dell’inverno e Il diario dell’inferno), per esempio, da loro descritto “acerbo ed ignorante in tutte le sue sfaccettature“, nasce da grandi bevute di birra “un po’ più calda della sua temperatura standard“, che ha determinato un sound più deciso e, se vogliamo, quasi aggressivo. Il diario dell’inverso, tuttavia, nasce anche da una per niente banale analisi introspettiva che porta l’alter e l’ego del protagonista a dialogare per tutta la durata dell’album, regalando così uno spaccato che va molto al di là del solo riff di chitarra. In generale, nessuno dei loro testi può essere definito “banale”. Molti, infatti, sono nati da contesti e da atmosfere particolari, da pensieri e da vicissitudini più profonde e articolate di quanto si possa immaginare.
Il secondo album dei Tortuga è Il click del capodoglio, pubblicato nel 2015. Il titolo dell’album fa riferimento al “click”, suono emesso dai cetacei e che, per la sua potenza (è uno dei suoni più potenti in natura), si è in seguito deciso di associare al sound che li caratterizza. Il click del capodoglio, in cui, tra l’altro, il richiamo letterario al capolavoroMoby Dick appare evidente, è il frutto dell’esperienza accumulata dopo l’uscita del primo lavoro e, a detta di tutti i componenti del gruppo, “è senz’altro maggiormente pensato e pianificato“. È grazie a questo disco che i Tortuga hanno potuto intraprendere il loro terzo tour (i primi due sono stati intrapresi per far conoscere Il diario dell’inverso anche nella Penisola), che li ha visti protagonisti sul palco in vari locali di Bologna e di Milano.
Tra le risate, mi raccontano di come questo possa probabilmente essere annoverato tra i tour meno pianificati della storia della musica mondiale: ogni tappa, ogni avvenimento, è stato filmato e consegnato alla storia dal sapiente uso dell’obbiettivo da parte di Stefano Carena, amico di vecchia data e tra l’altro regista del Live Private Show tenuto dai Tortuga ad Alghero il 22 dicembre 2015. Attualmente, dichiarano di avere un progetto in cantiere per l’uscita di un nuovo album di cui, però, ancora non sono stati definiti i dettagli.
Finita la birra che ci ha tenuto compagnia per tutta la durata dell’intervista, mi concedono la possibilità di entrare nella loro sala prove che, se ci si pensa bene, racchiude tutto il loro mondo: il loro lavoro, quello che sono riusciti a diventare in questi quasi dieci anni di attività. È uno spazio piccolo, con luci soffuse e la strumentazione messa un po’ alla rinfusa. A fare compagnia alla pedaliera, a qualche scaletta scritta su fogli sparsi e a una quantità di cavi notevole, c’è una bottiglia di Ichnusa vuota, qualche scritta divertente sulle pareti e mattine, pomeriggi (probabilmente notti) passate a suonare tra quelle quattro mura, che da sole restituiscono la descrizione migliore che possa essere fatta dei Tortuga.
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