La difficile eredità del 2016: qualche appunto

Con l’inizio del 2017 è tempo di cominciare a tirare le prime conclusioni sull’anno appena passato, sono infatti molte le incognite e le novità che hanno avuto luogo nel 2016 e che irrimediabilmente influenzeranno il nuovo anno. Dalle montagne russe del prezzo del petrolio, dalle incertezze sulla Brexit, dell’elezione di Donald Trump a presidente USA sui mercati, fino alla crisi di Eurolandia, segnata da una stagnazione lunga anni, il «Guardian» ha tracciato i fatti e le tendenze più significative dell’anno passato.

Prima tra tutte Brexit i cui effetti sui mercati finanziari sono stati limitati solo dall’intervento della Banca Centrale Critannica e dalla BCE, tuttavia bisognerà aspettare l’inizio dei negoziati tra Londra e Bruxelles per avere più chiaro il fenomeno in un’ottica di lungo periodo. Infatti, sul breve termine i dati sono spesso contrastanti, servirà tempo per far emergere le dinamiche di fondo.

In secondo luogo sono forti le preoccupazioni per le politiche economiche di The Donald, e per le loro ricadute sull’economia europea. In particolare preoccupa la forte tendenza protezionistica, unita a una buona dose di incertezza. Tuttavia le ingenti spese in infrastrutture e deregolamentazione annunciate dal Trump dovrebbero assicurare una crescita, almeno nel breve periodo. Vi è, inoltre, forte incertezza sulla posizione ambigua della Fed rispetto all’aumento dei tassi d’interesse.

Venendo all’Europa ciò che preoccupa maggiormente, nonostante gli interventi della BCE, è il perpetuarsi di una bassa inflazione ancora lontana dall’obiettivo del 2%, unita a una disoccupazione ancora troppo elevata. Quest’ultimo problema è rilevante soprattutto in Italia e Francia. Il «Guardian» rileva come il nostro paese, in piena crisi politica, navighi nel mezzo di una crescita che stenta a decollare e una disoccupazione all’11,6% a ottobre. In Francia i senza lavoro sono al 9,7%.

Guardando agli scenari globali il «Guardian» rileva anche come il calo del Baltic Dry Index (l’indice che misura i costi di trasporto a secco delle materie prime come il carbone e il grano) preoccupi gli economisti che vi leggono il preludio di un rallentamento del commercio globale, e dunque dell’attività economia. A febbraio il Baltic Dry Index è sceso ai minimi storici di 290 punti, ma poi ha recuperato risalendo a 961 punti a novembre, restando tuttavia ben al di sotto del picco di 11.793 punti del maggio 2008.

Secondo il «Guardian» Messico e Venezuela sono due incognite del 2017. Infatti se i piani del neo presidente Usa di reprimere gli scambi commerciali con il paese dovessero essere attuati, un tracollo dell’economia del paese sarebbe inevitabile. Il Venezuela, diversamente, è alle prese con una severa crisi economica e sociale e, tra carenza dei beni primari, disoccupazione, inflazione alle stelle (al 475% secondo stime del Fmi) e sospensione dei servizi di base da parte dello Stato. Gli esiti sono imprevedibili, ma i segnali dall’economia non lasciano intravedere nessuna facile via d’uscita.

In ultimo il Giappone, dove la Banca Centrale all’ultima riunione ha lasciato invariati i tassi di interesse aprendo la porta a un possibile rialzo del costo del denaro nel 2017. I tassi stazionano così in zona -0,1%, come deciso nella riunione di gennaio che per la prima volta ha portato in negativo il costo del denaro del paese nipponico. Per gli economisti la crescita del paese presenta ancora molte incognite e resta legata e dipendente alla continuazione del Qe e Abenomics.


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