di Ettore Gasparri
Era il 7 dicembre del 1941 quando gli Stati Uniti subirono uno degli attacchi peggiori della propria storia. L’attacco di Pearl Harbour. Da lì gli Usa entrano in guerra, ma a livello di immaginario popolare quel attacco aveva un significato addirittura più profondo di quel che poteva voleva dir l’ingresso in guerra. Infatti diede origine ad un profondo odio verso i giapponesi tanto che quel giorno passò anche alla storia come “Day of infamy” per voce del presidente stesso, Franklin Delano Rooselvelt.
Ma a 75 anni di distanza da quel giorno il premier giapponese, Shinzo Abe, ha visitato il noto porto situato alle Hawaii, insieme al presidente uscente Barack Obama, a coronamento di un processo di consolidamento dei rapporti tra il Paese a stelle e strisce e quello del sol levante, iniziato nel maggio scorso con la visita storica proprio di Obama ad Hiroshima, città dove fu sganciata la prima bomba atomica della storia. Tuttavia questa non è stata la prima visita di un premier giapponese, già nel 1951 infatti Yoshida, dopo aver firmato la riconciliazione con gli Stati Uniti si fermò a Pearl Harbour, anche se in una cerimonia del tutto privata.
Come Obama non si era però scusato nella sua visita ad Hiroshima, neppure ha fatto Abe, il quale spera soprattutto che questa visita non rovini la sua immagine in patria e possa poi migliorare la stessa agli occhi di Trump, che lo ha accusato, nella sua campagna, di avvalersi degli States come alleato per la difesa militare e di manipolare anche l’economia interna per avere dei vantaggi. Per quanto riguarda il fronte interno invece Abe spera di non essersi attirato le antipatie di quella frangia, che seppur minoritaria, sta valutando una revisione storica del coinvolgimento del Giappone nella Seconda Guerra Mondiale.