Guardi un occhio, quello del tuo tutore agli studi, che esamina il piano dell’anno. Arriccia il labbro superiore ogni tanto, sorride, o forse non è un sorriso. Quella musichetta che avevi in testa ieri e che ora non torna più in mente: un saliscendi continuo, ma il ritmo proprio non viene.
Ne hai letti 997 quest’anno, ma la maggior parte sono raccolte di racconti, o novelle. Un po’ sotto la media, alcuni tuoi compagni sono in dirittura d’arrivo e probabilmente qualcuno scriverà qualcosa. Non succede da anni: la generazione prodigio. È che ti perdi. Ogni volta che ne finisci uno ti perdi a pensare: ci sono passi che ti folgorano, altri che dovrebbero essere diversi. Nel mondo, nel tuo mondo, non sono tutti giusti.
Quelli corti sono più belli, sono la nuova frontiera, le pillole. Tutto è in pillole oggi. Oggi chi ha il tempo di farsi passare un mal di testa, o un mal di schiena? Chi ha il tempo di guardare i programmi alla TV per intero o i film? Leggere un libro, un intero libro? PillOle: Piccole Iterazioni di Libertà Lieve del dottor Oleandus. Tutto è in PillOle oggi.
Ti sposti a fissare l’altro occhio che, basso sulla scrivania, è intento a esaminare il tuo anno accademico. Sono secchi, dallo sguardo dritto e le rughe intorno stanche da anni di giri di parole. Il professor Vittorino ha quasi portato a termine il suo ciclo, ma la sua mente annebbiata dalla storia non partorisce che qualche mediocre idea. Quello che tutti sanno, leggendo le pagine scorciate delle sue anticipazioni, è che non pubblicherà mai nulla di importante. E molti studenti si augurano che non arrivi a scrivere proprio nulla, per non doversi sorbire gli anacronismi sconnessi della senilità d’un vecchio professore demodé. Certo che in verità, in fede tua, per quanto anacronistiche, sono riflessioni non da poco, quelle del professore. Ma i tempi della critica sono finiti da qualche decennio, la produzione è troppo vasta, la ricezione troppo veloce. Eppure una risposta, tra le distese di parole di libri che parlano di altri libri, parole che neanche più puoi vedere sbiadite sulla carta, sei convinto che ancora si possa trovare, proprio tu che quando sei nato la carta cominciava già a sparire.
Comunque sia, il primo fu Amerigo Olcaniv: affermò che il futuro della letteratura andava lentamente costringendosi in forme brevi e questo era il nuovo inevitabile progresso. Era più di cento anni fa, e da qui alle PillOle fu un percorso lungo, ma Oleandus citò direttamente Olcaniv quando brevettò il suo prodotto.
“Sono finiti i tempi in cui sapere tutto non è concesso a nessuno. Da oggi l’apprendimento ha un nuovo volto, una nuova forma. Sono passati quasi dieci anni dalla morte di Amerigo Olcaniv, un vate, un maestro per tutti noi, un grand’uomo e un eccellente pensatore: oggi il suo più grande sogno prende forma, la forma di una PillOla!”
Da allora i record di lettura furono abbattuti a velocità impressionante: il trionfo della tecnologia! Prima giorni, poi ore e, infine, una manciata di minuti, per i libri meno impegnativi. La carta è sparita, d’altronde sarebbe drasticamente più lungo stampare un libro in carta che non leggerne uno in PillOle.
Il regime che prese il potere nell’anno 2061 si rese conto che debellare quella malattia delle masse che era l’istruzione, oltre a essere assurdo da pensare, era pressoché impossibile. Governare un Paese in un regime autarchico nel segno della negazione culturale era troppo rischioso: sarebbe bastato un sovversivo autodidatta per mandare all’aria tutto il precario equilibrio, una sola affermazione di indipendenza del pensiero poteva intaccare la struttura fondata sull’ignoranza che si era pensato di costituire. Certo, sul piano teorico il progetto per governare la nuova nazione era liscio come una macchia d’olio, ma al momento della firma sull’atto costitutivo del nuovo governo colui che sarebbe stato nominato presidente al direttorato della cultura, dell’istruzione e dell’informazione oppose il suo veto: “Se dobbiamo costruire uno Stato dittatoriale e nazionalistico dobbiamo impedire a chiunque di poterci attaccare, specialmente dall’interno. Troppo forte è la memoria dei regimi totalitari e delle loro catastrofi: furono costruiti sul dominio del terrore e l’ignoranza fu lo strumento per dominare le masse. Ma l’ignoranza è una museruola troppo poco stretta per garantire la nostra stabilità, i pilastri teorici del nostro progetto sono troppo lisci per non rischiare di scivolarci sopra e capitombolare”.
Queste parole furono pronunciate con un tale piglio che tutti si convinsero della necessità di una svolta nel processo di costituzione del nuovo regime. L’informazione e l’istruzione non furono annientate per sottostare al giogo del potere, al contrario furono potenziate al punto da divenire frenetiche e non permettere più di soffermarsi a riflettere su ciò che si stava facendo. In breve, leggere un libro divenne un processo talmente rapido e mediaticamente gonfio da divenire vuoto di qualsiasi senso. Il nuovo regime nazionale era approdato laddove i precedenti avevano sempre fallito: l’arte e la comunicazione, l’essenza umana più profonda e l’unica in grado di opporsi alla follia della sopraffazione, erano state piegate all’esigenza di un controllo politico senza alcuna negazione, anzi proprio con un’affermazione esasperata.
Non ci fu alcun divieto dunque, nessuna lista di libri proibiti perché troppo sovversivi per le leggi del nuovo regime. Fu concesso di leggere tutto, anzi la lettura fu incoraggiata e facilitata: il progetto iniziale di una nuova tecnologia che permettesse di fruire un libro in breve tempo fu uno dei primi provvedimenti del governo, il decreto No Time More Read. Nel giro di tre anni fu proclamato con valore di legge il regolamento della condotta letteraria che stabiliva il divieto di pubblicazione a chi non avesse letto tutti i libri editi fino al giorno concordato con una apposita commissione universitaria di valutazione. Naturalmente la svolta era stata anticipata e affiancata da un filtro mediatico esasperato che aveva reso la lettura mezzo di raggiungimento di un traguardo ambito per prestigio sociale, privandola di qualsiasi riflessione artistico-filosofica potesse essere costruita intorno.
Sei mesi dopo l’invenzione delle PillOle, il dottor Oleandus era stato premiato con la massima onorificenza nazionale. Nessuno pensava più a un libro come porta d’accesso a un altro mondo, nessuno viveva la lettura come una palestra per il reale. Molti degli intellettuali che nella vecchia epoca urlavano la necessità di incentivare l’istruzione e la cultura, unici mezzi per combattere i problemi del Paese, si schierarono con la nuova politica del regime e divennero i vertici di potere e di controllo. Tanto più che dai proclami di uguaglianza era nato il motto La lettura è uguale per tutti e l’opinione pubblica aveva cavalcato l’onda dell’entusiasmo e si era schierata a favore dell’incentivazione della lettura. Nessuno si accorse della manovra politica che stava dietro, nessuno aveva mai dato gran peso alla pratica di leggere (o alla sua assenza), dunque perché un cambiamento di rotta, come se n’erano visti tanti, doveva risultare sospetto?
«Quella “musichetta”» proruppe Vittorino con una voce profonda «era l’Eine Kleine Nachtmusik di Wolfgang Amadeus Mozart, la tua generazione è troppo giovane per ricordarselo». Lo guardi sgranato: legge i tuoi pensieri? Pensi che forse hai parlato senza accorgertene.
«Oh, professore, io…» Vittorino solleva una mano davanti alla tua faccia facendo segno di tacere.
«Non c’è bisogno ragazzo, credimi. Tutto ciò che non sai di sapere, beh… Non c’è bisogno che continui. A cosa servirebbe?»
Non capisci cosa stia succedendo, proprio come non capivi da dove arrivasse quella musichetta che ti distolse lo sguardo dal quaderno che avevi davanti. Non scrivevi niente, solo appuntavi riflessioni su quello che leggevi. Certo non illegale, ma quanto meno controproduttivo dato tutto il tempo impiegato per scrivere quelle parole.
«Parole inutili, ragazzo. Ma cosa pensavi di fare?»
«Io non capisco cosa…» gorgogli mentre dalla porta due uomini si fanno avanti alle tue spalle.
«Lo capisci molto bene, più di quanto credi».
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