«Pieno di animali! Anche quest’anno… » – era la lavanda a parlare, sì proprio la pianta, seduta sul pavé con le spalle al naviglio, mentre il fiume di umani le scorreva di fronte non meno di quello.
«Che male fanno? Passano, ti guardano negli occhi e, dopo tanti complimenti, qualcuno ti porta perfino a casa con sé » – questa invece era la voce allegra del limone, reso divino dal sole di quella domenica pomeriggio di pieno aprile.
«Bah, mica tanto! I membri dell’alta società botanica hanno deciso di venire quest’anno al galà dei fiori» – aggiunse la lavanda – «e noi possiamo strizzarci i petali fino al mal di pancia pur di stillare il nostro bel colore. Tutti gli sguardi saranno sempre per loro».
«Oh insomma, di chi parli con tanta invidia? Stai diventando sempre più viola».
«Di Lady Surfinia, per esempio. Lei sì che è viola, e non certo per invidia. Sfido io, a braccetto com’è del Duca Mesabriantemo. Guarda là che viola, anche lui!».
«Ussignur! Spitinfia lei, e pedante lui. Tu sei molto più simpatica!».
«Che gergo! Cos’hai nelle radici? Prendi a modello il dott. Ornitogalo. A lui non puoi certo negare gran dote di eloquenza. Dalle sue foglie esce una conversazione che sa di ossigeno puro».
«Io temo, invece, che tante parole distanzino soltanto dai pensieri. Non sai cosa dicono di lui, giù all’orto, l’arancio e il cedro!».
«Intanto nessuno dei tuoi amici si è mai presentato al fianco di Miss. Lobelia».
«Sarà perché l’arancio è un po’ in sovrappeso e ha la pelle butterata, ma un cuore così dolce! E quanto al cedro… beh sì, è spesso amareggiato; ma almeno non se ne sta lì impalato a far la coda da pavone come tutti quei nobili spocchiosi. Eccola lì, per l’appunto, la marchesa Aronia: spettabile dinastia dei Melanocarpa, capirai. Solleva volentieri le fronde per mostrare i suoi orecchini di scure bacche alla vista del bel Papavero islandese, che intanto la occhieggia di sotto la larga tesa del suo cappello rosso. Quante scene!».
«Ma… non ti vergogni di parlare così di due piante simili?».
«Dico la verità! E guarda, lì in fondo, il prof. Delfinium. Che noioso! E da quando gli hanno dato la cattedra di ecologia è ancora più impettito, per giunta. Non sospetta nulla di sua moglie, il bietolone! La signora Alstromeria farebbe un bello scandalo se dicesse cosa fa col castagno, soprattutto perché lui è tutt’altro che blasonato. Si sarà stufata dei fiori ammodo e, senza tante cerimonie, avrà subito il fascino dei boschi!».
«Ha ha ha! Smettila! Mi sta cadendo tutto il polline» – disse la lavanda fra le risa.
«Oh insomma» – aggiunse poi – «ci sarà pure qualcuno per cui nutri rispetto».
«E se ti dicessi: la Protea?».
«Ah! Proprio la più vanesia ed esibizionista di tutte!».
«Anch’io la credevo snob, distaccata, ma solo perché non parla la nostra lingua. Sai che viene da laggiù, no?…l’Africa. In realtà ha una linfa dolce, c’è chi la chiama addirittura ‘cespuglio di zucchero’».
«Che strano, mi ha sempre dato l’impressione di essere così, così… volubile!».
«Vero, ma solo per curiosità. Prova grande stima per tutti, e ammirazione. Si sforza di assomigliare agli altri più che può, sino a trasformarsi».
«Eppure quest’anno ancora non l’ho vista».
«Nemmeno io».
«La Protea dite?» – intervenne bruscamente il cedro – «ah, sfiorita da un pezzo!».
«Oh, ciao! Da dove salti fuori?».
«Sei sicuro?» – chiese la lavanda – «non è proprio questa la sua stagione?».
«No, non avete capito: morta, stecchita! E voi che non vedete l’ora di farvi acchiappare da uno di quegli strani animali. Chissà come l’avrà curata».
«È vero, ora ricordo: la volta scorsa era venuto un ragazzo a prendersela, in compagnia di una bella fanciulla, erano così felici insieme. Ma cosa ti fa credere che sia appassita?».
«Ho rivisto quel ragazzo oggi, era qui di sicuro per cercarsi un’altra Protea, ma non ha trovato nulla».
«Come fai a dire che volesse proprio lei, e che la prima non sia rifiorita invece?».
«Perché anche lui era solo, stavolta. La sua ricerca della Protea, ve lo dico io, sarà stato il modo di ritrovare il ricordo di quella fanciulla. Ma non gli è servito».
«Anch’io ricordo bene di quel giovane animale» – sospirò la lavanda.
«Strano vero? La sua vita ora è diversa da un anno fa. Si è voluto consolare col fiore del cambiamento, proprio quando questo, ormai, ha raggiunto la sua ultima forma».
«Hai sentito, lavanda?» – disse infine il limone con un lungo sorriso sulla scorza – «il nostro amico cedro ha un succo così aspro all’apparenza, ma un retrogusto di miele in fondo».
«Mmh… Hai impegni per stasera mio bell’agrume?» – sussurrò la lavanda traboccante di viola.
Quel ragazzo intanto, in una nube di profumo, ritrovava lento la via di casa.
Un commento su “La protea”