Gli spagnoli ci sanno fare. Ma niente, Pedro Almodòvar, per oggi dovrà rinunciare al suo ruolo di squillante prima donna e fare spazio sul palco ad altri registi: nessuno che voglia competere sul cinema d’autore certo, ma tutti sorprendenti artefici dell’intrattenimento. Almodòvar guarda all’Europa, loro all’America. E qualcuno come Alejandro Amenàbar riesce anche a sbarcarci, grazie al successo di Apri gli occhi nel 1997, sboccato poi in Vanilla Sky, remake immediato (2001) quanto inutile (ma si rinvia la questione a quando si avrà voglia di aprire una rubrica sugli Overrated).
Juan Antonio Bayona è stato battezzato a regista sotto il segno dell’angosciante The Orphanage, mentre Jaume Balaguerò è diventato una garanzia di strizza dopo Fragile e quel disarmante colpo di genio intitolato [REC] – brillantezza della durata di 78 minuti punto e stop, alla forca i successivi tre capitoli. Insomma, sono spagnoli che ci sanno fare soprattutto con la tensione. E tra questi registi un piccolo riflettore dovrebbe essere acceso anche su Daniel Monzòn.
Cella 211 è il merito di Daniel Monzòn. La storia risale al 2004, dall’omonimo libro di Francisco Pérez Gandul, nulla che sia stato tradotto per un mercato fuori dai confini nazionali. Nel 2009 arriva l’adattamento cinematografico spagnolo in collaborazione con la Francia, e allora sì che il successo è grande abbastanza da concepire l’esportazione.
La trama scorre liscia nella sua semplicità: il giovane Juan Olivier è stato da poco assunto come secondino presso un carcere in via di trasferimento da una struttura in decadenza a una costruzione nuova ed idonea. Il giovane vuole fare bella figura, così si presenta un giorno prima della sua entrata in servizio per visitare la prigione. Giunto nell’area di massima sicurezza, Juan viene ferito in testa da un pezzo di intonaco staccatosi da una parete e due guardie lo soccorrono adagiandolo nel letto della 211, una cella rimasta vuota. In un fulmineo sovrapporsi di diverse situazioni colte durante la visita, in quell’istante scoppia una rivolta proprio fra i carcerati della sezione di massima sicurezza, capitanati dal forte e carismatico Malamadre. Abbandonato dalle guardie nella 211, Juan per non essere preso come ostaggio, si tuffa nel piano di fingersi un detenuto come gli altri. Ma lo sforzo per uscirne diventa presto una lotta alla sopravvivenza, sia fisica che soprattutto mentale, una volta di fronte al pericolo per se stesso e anche per i propri cari.
Lo spettacolo sta tutto nell’evoluzione del protagonista, secondo un meccanismo chiaro e per nulla nuovo: il personaggio ordinario e moderato viene spinto all’estremo da eventi estremi, con un rovesciamento inizialmente mosso da un magnetismo esterno, incarnato dal personaggio antitetico al protagonista -che a sua volta subisce una rivoluzione; un rovesciamento che si spinge poi oltre il punto di non-ritorno per volere del protagonista stesso, tanto è il fascino della propria capacità di azione, scoperta solo quando messa alla prova. L’attore debuttante Alberto Ammann e l’eccezionale Luis Tosar tengono il conflitto rovente per tutti i 110 minuti del film: il valzer della Cella 211 fra Juan Olivier e Malamadre è sempre deliziosamente in sospeso fra chi è condotto e chi conduce.
La storia principale regge tutta e bene: deve aver soddisfatto anche troppo sceneggiatori e regista, in quanto si permette di trascurare alcuni elementi a margine della trama, come ad esempio le vicende parallele della moglie di Juan, o il personaggio del poliziotto cattivo José Utrilla, che rimangono a sguazzare in superficie rimettendoci in credibilità nella caratterizzazione e nelle motivazioni. Ingenui o eccessivamente tragici. Rimangono tuttavia delle componenti non sufficienti a inceppare il ritmo e spezzare la tensione.
Daniel Monzòn, come i suoi colleghi di maggior successo, riesce a comprimere l’atmosfera di tutto il film in un’aria densa e caustica, che ha le sue ventate di tregua solo per tornare più forte a strozzare il respiro dello spettatore. Sedici candidature ai premi Goya e otto vinti, tra cui miglior film, miglior regista e miglior attore protagonista a Luis Tosar. Ma in Italia un incasso di poco più di mezzo milione nelle sale cinematografiche, causa soprattutto la ridottissima distribuzione e l’inesistente promozione: chi se ne è occupato, è da rinchiudere.
Fonti: http://www.mymovies.it/film/2009/cella211/, http://valeriocaprara.it/cella-211/
Credits: http://www.vacafilms.com/celda-211/, https://it.wikipedia.org/wiki/Cella_211#/media/File:Cella211-Ammann-Tosar.png, http://diymag.com/archive/interview-cell-211-director-daniel-monzon