“La carità fa più bene a chi la fa che a chi la riceve.” È una frase attribuita a Don Carlo Gnocchi, beato della Chiesa cattolica vissuto nella prima metà del Novecento, scritta probabilmente per indurre ulteriormente a fare del bene (la carità è anche una delle virtù teologali). Piuttosto condivisibile. Tuttavia, v’è anche una sfumatura negativa: la maggiore spinta a dare è spesso il risultato di una leggera empatia che scatena compassione e leggeri sensi di colpa, e pensiamo che il privarsi di una sola moneta possa alleviare queste sensazioni; oppure la speranza di una ricompensa divina, come un auspicato posto in Paradiso. Specialmente nel periodo natalizio, le persone sembrano essere più ben disposte a liberarsi di qualche spicciolo in favore di altri più poveri, forse in parte trascinati dalla massa e da detti come “A Natale sono tutti più buoni”. Tuttavia donare per se stessi, per sedare la sensibilità dovuta alla vista di qualcuno di meno fortunato, resta la meno indicata delle motivazioni accettabili, come esplicitato in particolare anche dalla tradizione ebraica.
Il rabbino, filosofo e medico Mosè Maimonide, vissuto nel XII secolo, parla, nelle sue Hilkhot Matanot Aniyim (Leggi sulle offerte ai poveri), di otto livelli del Dare, forme di Zedaqah (parola traducibile con carità, ma la cui etimologia risale all’ebraico per intendere “giustizia”). L’ottava per importanza e per merito è proprio la tendenza a dare “per tristezza”, o “per pena” cioè appunto per alleviare la sofferenza che la visione di sfortunati può darci. Essa appare peggiore del non dare adeguatamente, sebbene volentieri, qualunque sia la cifra di cui ci si priva. La forma più lodevole di Zedaqah non fornisce alcun merito a chi la fa, né in realtà consiste in una vera e propria privazione definitiva di beni materiali. Consiste infatti nel “Dare un prestito senza interessi a una persona bisognosa; formare una società con una persona in difficoltà; dare un contributo a una persona indigente; trovare un lavoro per una persona bisognosa; purché tale prestito, concessione, associazione, o lavoro dia modo alla persona di non vivere più basandosi sull’aiuto degli altri.”
Certamente questo pare molto più complicato rispetto alla piccola e temporanea soddisfazione di un’elemosina a un mendicante. Ove questo non sembra molto fattibile si può ricorrere al secondo livello: Fare zedaqah anonimamente a un destinatario sconosciuto tramite una persona (o un fondo pubblico), purché sia degno di fiducia, saggia e in grado di compiere atti di Zedaqah con i tuoi soldi nel modo più impeccabile. Specialmente in Dicembre questa sembra la modalità più diffusa: diverse onlus si contendono infatti i maggiori luoghi di passaggio in città per richiedere donazioni. La scelta spazia fra le collette alimentari fuori dai supermercati, a progetti a sostegno di bambini (da quest’anno in particolare persino adozioni “in vicinanza”, per famiglie italiane), malati, disabili, o ricerca scientifica. Queste, oltre al denaro richiedono anche, se possibile, un po’ di tempo: è aperta la caccia nuovi volontari 2017…
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