Dal 1978 in Italia è permesso abortire. La legge 194 ha infatti reso possibile la pratica di questo intervento. I dati mostrano che la legalizzazione dell’IVG, insieme ad una maggiore consapevolezza sessuale, non creato una corsa all’aborto. Al contrario, negli ultimi trent’anni i numeri delle donne che decidono di sottoporti a questa pratica si sono drasticamente ridotti.
La legge 194
Prima del 1978, l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), era considerata un reato dal codice penale italiano. La legge italiana sull’IVG è la numero 194 del 22 maggio 1978 e permette, alla donna, di poter abortire in una struttura pubblica o privata nei primi novanta giorni dopo il concepimento. “Per la prima volta – osserva il ministro della salute Beatrice Lorenzin – è stato avviato un monitoraggio articolato sul territorio, relativamente ad alcuni aspetti dell’applicazione della 194, che arriva fino a ogni singola struttura e a ogni singolo consultorio”.
Questa relazione sull’applicabilità della 194 ha messo in luce dei risultati positivi nel Bel Paese: se in America l’uso della pillola abortiva Ru486, anche conosciuta come mifepristone, è sempre più in aumento (soprattutto tra le ragazze di età compresa dai 14 ai 25 anni appartenenti al ceto sociale medio-basso), in Italia, la stima della variazione negli anni degli aborti a carico di ginecologi consenzienti mostra che dal 1983 al 2011 gli interventi eseguiti hanno subito un brusco calo. Sono, infatti, passati da un valore di 145,6 nel 1983 a 73,9 nel 2011: in pratica si sono dimezzati con il tempo.
La responsabilità e l’apertura al dialogo
Com’è stata possibile una riduzione degli aborti? Si è assistito a una maggiore responsabilità per quanto riguarda i rapporti protetti. Nelle scuole sono aumentate le ore dedicate all’educazione sessuale, i tabù di un tempo sono pian piano spariti lasciando spazio, in famiglia e nella società di oggi. Al dialogo per ciò che un tempo si conosceva pochissimo o che era del tutto sconosciuto è stata sostituita l’abitudine di parlare di sesso e di confrontarsi. La scelta dei metodi anticoncezionali è diventata più ricca e, soprattutto, più conosciuta.
Tra i metodi di contraccezione più usati adesso, la maggior parte delle donne (circa il 75%) sceglie di usare i dispositivi intrauterini di lunga durata d’azione (come per esempio la spirale) più facili e più gestibili rispetto alla classica pillola anticoncezionale che richiede maggior cura. Tutta questa conoscenza ha sicuramente contribuito a far diminuire il rischio di aborto nella società italiana.
L’uso della pillola del giorno dopo dovrebbe essere un momento di crescita, non un incentivo ad abortire di più. Anche perché, nonostante molti ne parlino superficialmente, le donne sono consapevoli di quanto sia doloroso e invasivo un intervento del genere, effettuato sul proprio corpo: sia esso chirurgico o chimico, non può essere affrontato a cuor leggero. Il problema, semmai, consiste nelle ritrosie culturali che ancora impediscono un’adeguata informazione rispetto all’uso dei metodi contraccettivi.
E’ stato affermato dalla dottoressa Filomena Petrilli, ginecologa e referente della prevenzione e diagnosi precoce dei tumori ginecologici presso l’IRCCS (Centro di Riferimento Oncologico della Basilicata). L’esperta non è l’unica a essere favorevole all’aborto, anche se ovviamente, non mancano pareri contrari, a partire dalla Chiesa Cattolica che, avendo sede in Italia, ha un peso maggiore riguardo argomenti di tale portata.
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