Non il suo ultimo lavoro, infatti è del 2013, ma questo documentario di Gianfranco Rosi è sempre tristemente reale.
Sacro GRA, un docu-film per mostrare la vita intorno ai 70 chilometri d’autostrada urbana di Roma: il grande raccordo anulare. Tre anni passati in un camper per svolgere quest’indagine sul campo e riuscire a cogliere i particolari dei suoi protagonisti.
Roberto, un barelliere nelle ambulanze, Francesco un botanico ossessionato dalle sue palme e dal parassita che le infesta, Paolo il nobile decaduto, il principe Filippo Pellegrini e Cesare, uno degli ultimi pescatori d’anguille del Tevere. A dire il vero questi non sono i veri protagonisti, potrebbero essere considerati dei figuranti, perchè il vero protagonista è il GRA che, imponente e netto, si staglia nelle loro vita, formandole intorno a sé, perchè lui è immutabile e pesante.
Quello che Rosi porta sullo schermo sono scorci di vita dimenticate, di uomini ormai consumati che ruotano intorno a questo raccordo, che come l’emblematico titolo richiama, ha qualcosa che ricorda la vita. Forse il suo essere eterno o per lo meno la sua longevità rispetto a quella umana, forse il richiamo al brulichio morboso che il calice omonimo scatenò e tutt’ora scatena intorno a sé. Un anello d’asfalto colmo di vite che senza sosta lo percorrono quasi fosse un pellegrinaggio. Durante la realizzazione delle riprese il regista Gianfranco Rossi lesse un libro di Italo Calvino, Le Città Invisibili, che gli permise di cogliere un aspetto importante del lavoro che aveva in cantiere, cioè la relazione tra uomo, abitante e città, e la capacità che quest’ultima ha di farsi nostra, subendola.
Ecco perchè Sacro GRA è sempre tristemente reale; perchè la sua verità è applicabile ad altri contesti urbani disumanizzanti, che riescono ad assorbire la vita facendola ruotare intorno alla propria fisicità.