L’etimologia della parola contemplare, è facilmente reperibile in un paio di click sul web. Ancora una volta, è importante andare al di là del semplice fatto storico, dal momento che l’azione di un osservatore della storia non consiste nel mero volgersi indietro, ma nello smascheramento di quelle precise relazioni che un tale fatto del passato intrattiene con uno al presente.
Il senso della contemplazione è l’interrogare
La ragione della parola contemplare è quella di essere formata da CON=CUM (denotante mezzo) e TEMPLUM, inteso come spazio, porzione di cielo entro la quale l’augure osservava il volo di uccelli traendone auspici. In seguito, il gesto dell’innalzare lo sguardo fu associato alla pratica di contemplare nel senso appunto in cui si sollevano, si conducono le ragioni dell’anima verso stadi più alti, verso realtà altre, verso stadi di sollevazione interiore, di meditazione.
Da un punto di vista logico-linguistico la parola in questione è usata anche per esprimere un certo tipo di relazione fra concetti o cose, indicando nello specifico un rapporto d’inclusività o di sequenzialità. Si dice, infatti, che un elemento è contemplato da un altro intendendo che il primo è insito, interno, previsto nel secondo. Dunque, la verità storica del termine contemplare emersa qui sopra rimanda, per proseguire nell’indagine circa il suo valore, precisamente in quel sussistere di relazioni fra un atto pratico e un atteggiamento interiore. Detto altrimenti, contemplare implica l’atto pratico di osservare, il quale prevede un atteggiamento di interrogazione. Sempre, qualora qualcuno osservasse una qualsiasi cosa, l’atto che compirebbe sarebbe un atto d’interrogazione interiore.
Infatti, guardando, osservando, ma anche toccando, assaporando, e non solo attraverso i sensi, sempre s’interroga ciò che sta innanzi trovando risposta a tale interrogazione nella considerazione sensoriale o spirituale che ne si trae. La verità storica del termine contemplare porta dunque in sé la verità umana dell’atto dell’interrogarsi. Il senso della contemplazione è l’interrogare.
L’atto della ricerca
Compiendo un altro passo si può sostenere che l’interrogare concerne l’atto della ricerca, del ricercare, del movimento della ricerca. Infatti, questo prevede un uscire da sé: il ricercatore interroga ciò che non appartiene strettamente allo “stato” in cui si trova. Chi medita infatti compie un sollevamento o una discesa (a seconda delle prospettive) verso un “stato” altro da quello di partenza. In entrambe i casi, il movimento verso ciò che è altro è seguito necessariamente dal movimento del ritorno al punto di partenza, da un ritorno allo stato di partenza, ovvero quello “stato” che consente anche di rilevare ciò che si è interrogato. Il ritorno è necessario poiché assicura valore alla risposta dal momento che è proprio nell’interiorità che troviamo il senso di ciò in cui siamo immersi.
Ecco che la verità storica del termine contemplare, porta una seconda verità umana che è quella del movimento verso qualcosa d’altro, esterno o interno che sia. L’uomo non può vivere senza interrogarci riguardo ciò che è altro, che sia interno o esterno, ove per “altro” non s’intende qualcosa che sia sostanzialmente separato da lui, ma semplicemente come sfuggente ad una nostra chiara conoscenza cosciente.
Bisogna quindi, nella contemplazione come nell’interrogazione, non cercar di comprendere unicamente con la mente, ma accostarsi interrogando anche con quel senso d’intuizione di cui è responsabile l’anima. Come si può osservare il volo degli uccelli se non si è capaci di decifrarne gli auspici? Come è possibile conoscere se stessi e chi è fuori senza sentirlo col cuore? Ultima verità umana è quindi l’atteggiamento di critica poiché l’atteggiamento interrogativo è sempre critico dal momento che interroga mettendo appunto sotto una luce critica ciò verso cui si muove. Critico è anche quel movimento di rientro dopo la ricerca, che permette la valutazione interiore di ciò che si è contemplato, interrogato.
Fonti