Oggi in gran parte dimenticato, il racconto Di che Cosa Vivono gli Uomini, di Lev Tolstoj è un simbolo. Simbolo della Russia del suo tempo, simbolo dell’autore, simbolo della sua conversione.
“Di Che Cosa Vivono gli Uomini”
Viveva un calzolaio, con la moglie e i figli, nella casa di un muzìk. Non aveva né una casa sua, né terra sua, e per campare, lui con la sua famiglia, aveva soltanto il suo lavoro di calzolaio. Il pane costava caro, il lavoro invece costava poco, e così tutto quel che guadagnava lo spendeva per mangiare. Aveva, quel calzolaio, una sola pelliccia, che serviva tanto a lui che a sua moglie, e anche questa pelliccia era tutta a brandelli, tanto l’avevan portata; e da più di un anno oramai il calzolaio metteva da parte i soldi per comperarsi qualche pelle di pecora e farcisi una pelliccia nuova. Verso l’autunno il calzolaio pensò di averne di soldi, quanti ne bastavano: ché tre rubli di carta ce li aveva la baba nel baule, e altri cinque rubli e 20 kopejki glieli dovevano i muzikì, al paese. E al mattino presto il calzolaio si preparò ad andare al paese per la pelliccia.
L’incipit del racconto di Tolstoj Di che cosa vivono gli uomini sorprende e incanta, per l’intonazione fiabesca, la semplicità dello stile, il senso della misura e dell’armonia, che concorreranno a confezionare la parabola più cara ai contadini russi di fine Ottocento. Nenia e insieme allegoria evangelica, Tolstoj conosce uno straordinario successo di pubblico con questo racconto del 1881, ormai poco letto, la cui risonanza supera di gran lunga quella dei romanzi, oggi molto noti e apprezzati. E’ un fatto curioso, che rivela qualcosa sia dell’autore sia del contesto in cui si trovava a operare e testimonia un momento cruciale della storia culturale russa.
Storia e cultura russa
Lo zar Alessandro II, che inaugurò nel 1855 una stagione di rinnovamento, è principalmente ricordato per la riforma agraria del 1861 e la liberazione dei contadini dalla servitù della gleba, della quale è conseguenza diretta, nell’ambito di uno slancio modernizzatore, l’istituzione di scuole di villaggio nelle campagne e di biblioteche circolanti. La diffusione dell’alfabetizzazione aveva suscitato nel popolo il desiderio di leggere delle storie, che erano da sempre circolate in forma orale, come Tolstoj stesso aveva potuto verificare, osservando le esigenze dei suoi contandini, i potenziali nuovi fruitori di una letteratura popolare. E proprio al popolo russo, ai suoi modi di vita, all’autenticità della sua fede, all’innocenza del suo sentire, Tolstoj si era rivolto dagli anni Settanta, per colmare l’insoddisfazione rabbiosa verso la produzione romanzesca, bollata come “mostruosità”. Sono gli anni della crisi e della cosiddetta conversione, che portarono Tolstoj ad articolare un pensiero etico-religioso, fondato sul sentimento evangelico dell’uguaglianza di tutti gli esseri.
Scrittura come rielaborazione
Dal silenzio letterario Tolstoj riemerge negli anni ’80 e ’90 con una serie di scritti pubblicistici, che illustrano la sua concezione della vita, rinnovata e coerente, e la potenza di tale tensione spirituale, e con dei racconti brevi, che prendono a modello le forme della cultura popolare. Tolstoj fonda una casa editrice, Il mediatore, e diffonde tra i contadini dei libretti dalla copertina coloratissima: Di che cosa vivono gli uomini è un prodotto editoriale di tale genere, che intende la scrittura come una rielaborazione più che un’invenzione. Dallo studio sui contadini che Tolstoj aveva condotto, sottoponendoli a testi di vario genere, da Puškin all’Iliade, e valutandone le reazioni, era emersa un’istintiva propensione alla narrazione biblica, tanto da poter affermare che “una traduzione della Bibbia nella lingua del popolo sarebbe il miglior libro popolare possibile”.
Il racconto di Tolstoj
E’ questa la direzione che Tolstoj imbocca nella stesura del racconto e a questo proposito si fa narrare da Vasilij Ščegolenok, un celebre cantastorie ambulante, la leggenda di un angelo e di un ciabattino, registrata fin dalle cronache medievali. Il suo svolgimento ripercorre, con un delicato tono apodittico, la formazione del credo tolstojano, che emerge nella sua limpidezza nella conclusione. Allora il lettore avrà già deposto gli strumenti dell’intelletto per lasciare che sia il cuore a comprendere questa religione dell’amore vera e radicale, come annunciato dal versetto del Vangelo di Giovanni posto in epigrafe: “Nessuno ha mai visto Dio. Se ci amiamo gli uni con gli altri, allora Dio è in noi”.
Fonti
D. Rebecchini, Cosa fa vivere gli uomini? di Lev Tolstoj. Anatomia di un successo, in ENTHYMEMA, n.2 (2010)