Un fumo denso e nero come la notte si alza verso le stelle. L’odore acre della plastica bruciata si diffonde nell’aria. Le fiamme stanno avvolgendo quelle fatiscenti baracche fatte di legno e lamiere, e si levano, alte e minacciose, come se il diavolo stesso fosse venuto a riprendersi quell’inferno in terra. Come se gli appartenesse. Come se la giungla fosse opera sua. In sottofondo, oltre a crepitio del fuoco, il rumore delle ruspe all’opera. Macchine infernali che riverberano la sinistra luce delle fiamme. Qualcuno è immobile coi piedi nel fango a guardare la scena, altri cercano di salvare il salvabile, altri ancora camminano a testa bassa. Si lasciano alla spalle quello che doveva essere solo un luogo di passaggio, e che invece si è trasformato in una casa. Una casa sull’oceano. Una casa a Calais. Una casa tra un incubo e un sogno.
Comincia così l’ennesima tappa del tour dei migranti. Un tour che ha avuto per alcuni una lunga sosta a Calais, nella cosiddetta “giungla”. Il primo seme della giungla viene piantato circa vent’anni fa, quando molti migranti decidono di stabilirsi a Calais per cercare di fuggire attraverso il tunnel della manica in Inghilterra. Negli anni il campo diventa sempre più grande e attira a se sempre più migranti. Come per un oscuro effetto gravitazionale. I migranti si trovano ancora una volta in un limbo. La Francia non riconosce loro l’asilo politico e l’Inghilterra prova a respingerli. Da questo limbo nasce così un nuovo girone dell’inferno, dominato dalla violenza e dalla legge del più forte. Una città-inferno che arriva ad ospitare circa 10.000 persone. Le autorità francesi negli anni provano più volte ad estirpare questa giungla, ma la stessa ritorna, come una pianta invasiva. Fino però a poche settimane fa.
Sono le prime ore del 24 ottobre quando lo sgombero comincia in maniera definitiva. Molti dei migranti finiscono con l’accettare le soluzioni delle autorità. Sono ormai stanchi dopo giorni ancora più duri del solito in cui si sono scontrati con la polizia. Ma non tutti. Ci sono infatti dei ribelli che non accettano di essere trasportati a centinaia di Km da Calais, e dalla tanto sognata Inghilterra. La soluzione consiste infatti nel trasportare i migranti in diversi campi di accoglienza disseminati in tutto il paese transalpino. I ribelli scappano dal campo e dalla polizia. Alcuni cercheranno disperatamente di arrivare alle bianche scogliere, altri invece restano in Francia e fuggono verso Parigi, dove ci sono altri campi non autorizzati pronti ad accoglierli. Dai vertici negano che ciò sia successo, ma le tende fuori dalla stazione Stalingrad del metrò di Parigi raccontano un’ altra storia. Raccontano che degrado e disperazione non sono stati cancellati ma solamente trasferiti.
Insomma lo sgombero della giungla, per quanto necessario dopo le diverse denunce delle associazioni umanitarie che ne segnalavano la situazione al collasso, doveva essere gestito in maniera differente e sembra essere avvenuto solo formalmente. La giungla non è stata veramente distrutta. Le tende che la costituivano sono solamente state spostate, mentre le persone che la abitavano sono solamente state sparse. Come dei semi.
Fonti: Repubblica TV, Internazionale, Internazionale, New York Times, Ansa