Osservate queste scarpe. Bello non è esattamente il primo aggettivo che vi verrebbe in mente per descriverle, no?
Si tratta delle famigerate Crocs, scarpe ortopediche indossate principalmente da infermieri e cuochi, sicuramente mai viste in passerella. Lo stilista le ha interpretate in una plastica marmorizzata di colori tenui, con delle grosse pietre irregolari applicate sui buchi sul davanti. Fanno parte della collezione autunno-inverno 2016/17 di Cristopher Kane, affermato designer scozzese il cui marchio fa parte del gruppo Kering, lo stesso di Gucci e Saint Laurent. Quella di Kane è stata una vera e propria collaborazione con il marchio Crocs, probabilmente anche una strategia per rilanciare il brand, tentando di renderlo appetibile (con discreto successo, in realtà) a chi di moda se ne intende.
E non è l’unico caso: quello di elevare dei capi ritenuti brutti dai più è un fenomeno piuttosto diffuso nella moda. Il marchio collettivo Vetements ne ha fatto il proprio marchio di fabbrica, rendendosi riconoscibile proprio per capi poco piacevoli alla vista, raramente proposti in passerella come felpe, tute, impermeabili. Quella di Demna Gvasalia, tra i designer del marchio, è una scelta stilistica: proponendo capi brutti intende emergere dalla folla degli stilisti, scegliendo appositamente forme imperfette e icone che non rientrano nei canoni estetici di chi detta e segue la moda “classica”. Il fatto di proporre normalissime T-shirt e felpe con loghi o scritte a prezzi esorbitanti (330$ le magliette, 900$ e più le felpe) rimarca la vittoria dello street style, sdoganando felpe e tute che adesso possono essere indossate alle sfilate, cambiando totalmente la nostra percezione di haute couture.
Oltre a questi due esempi, forse i più eclatanti, ce ne sono diversi soprattutto per quanto riguarda le calzature: il ritorno prepotente delle Birkenstock e delle Adidas da piscina, copiate anche da brand di livello e indossate da influencer, fashion blogger e via dicendo; le pantofole di Gucci di pelliccia lunga e folta; le flip flop di Dolce&Gabbana e Alexander Wang; dulcis in fundo, gli stivali che al posto del tallone hanno una seconda punta di Hood by Air.
Potremmo considerare questo fenomeno come manifestazione di dissenso verso una moda che, da sempre, impone determinati canoni estetici approvati dalle masse: nella contemporaneità è difficile creare scandalo proponendo qualcosa di straordinariamente bello. Molto più facile è sconvolgere il sistema proponendo abiti “disturbanti”, capovolgerne il senso estetico, spingere i seguaci della moda ad indossare indumenti brutti in nome di una scelta anticonformista.
L’enorme successo dell’anti-bello ha però causato la perdita della vena sovversiva: è diventata talmente mainstream da essere definita con un ossimoro, conformismo anticonformista. Ribaltare il sistema che impone determinati canoni vestimentari indossando capi informi o outfit decisamente trash non è più considerato così all’avanguardia, essendo diventata un’ambizione anche delle masse.