“Chi mente a se stesso e presta ascolto alle proprie menzogne, arriva al punto di non distinguere più la verità, né in se stesso, né intorno a sé.”
Fedor Dostoevskij, I fratelli Karamàzov
Il mio diario
3 giugno
Prima ancora di aprire gli occhi stamattina, sapevo di te. Ho avvertito il peso delicato della tua pelle bianca appoggiata sul lenzuolo altrettanto candido e sono rimasto immobile, crogiolandomi nella sensazione pura di te. Come sei magra, ho pensato. Come profuma il tuo corpo nudo e silenzioso, immerso in pensieri che vorresti non ti appartenessero. Non ho aperto gli occhi per un lungo tempo, assaporandoti nella lontananza dei nostri corpi. «L’amore si misura così» mi hai detto un giorno sulla panchina di fronte alla scuola di nostro figlio. Non mi ricordo niente di quel giorno, di quei giorni, di quegli anni passati nel dimostrare al mondo quanto potevamo essere genitori, se non quella tua frase, a cui ho ripensato milioni e milioni di volte. «L’amore si misura nella lontananza; quando non ci sono, ecco che mi ami». Così stamattina sono stato lì, ad amarti, lontano dietro le palpebre, e tu lontana in fondo al letto. Come una giostra in un secondo, aprendo gli occhi, la nostra distanza si è annullata, ed ecco che la tua schiena era lì, a portata dei miei piedi scoperti, e tutto l’amore come una lampadina nel sole si è spento.
Diario di Francesca
3 giugno
III visita dalla psicologa.
Non sto sbagliando. Non sto sbagliando. Non sto sbagliando.
Devo smetterla di colpevolizzarmi per essermene andata. Quella realtà non era per me, non era per la mia vita, non era realtà. Tommaso oggi avrebbe 10 anni e io ne ho solo 25. Non sono una vecchia, non sono finita. Devo vivere lontano da qualcosa che non mi permetta di essere. Io sono. Sono giovane, sono felice, sono una ragazza, sono bella.
Sono madre, ma non lo sono mai stata.
Il mio diario
5 giugno
Dopo la colazione siamo usciti di casa tutti insieme. Non lo facevamo da tanto. Sono salito in macchina e ho sentito la ruvidità del sedile sulle mie gambe. Ho guardato Francesca uscire di casa, circondata dai raggi del sole riflessi sul suo vestito cangiante. Tra le mani, le dita rotonde e morbide di Tommaso, ancora sporche del cuore di cioccolato della brioche appena mangiata. Le avevo detto di fargliele lavare, adesso mi sporcherà la macchina, ho pensato. Ero un po’ irritato per il fatto che lei non avesse fatto quello che le avevo detto, ma ho sorriso comunque. Ho aspettato che anche loro entrassero in auto, e che Tommaso cominciasse a giocare con il suo robot, spalmando su quell’inconsapevole creatura i residui dolci rimasti nelle pieghe delle sue manine, per appoggiare una mano sulla coscia di Francesca e dirle: «Sei magra.»
«Come mi vuoi tu.»
«Mi sembra di poterti vedere attraverso. I tuoi organi pulsano, vivono, producono, ti rendono viva, e io li vedo. Vedo i meccanismi che ti fanno essere questo corpo, che ti fanno essere qua sul sedile al mio fianco. E poi oltre le tempie trasparenti ecco il tuo amore per me, lo vedo.»
Ha sorriso piegando la testa sul braccio appoggiato al finestrino; il gomito ha strisciato lievemente sul vetro, senza generare alcun suono. «Sei così impalpabile che non fai nemmeno rumore, a volte mi chiedo se esisti davvero.»
Diario di Francesca
5 giugno
Sono tre mesi che non lo vedo, e sono tre mesi che lui fa finta che io ci sia ancora. È convinto di vedermi, è convinto di parlarmi. Tutti i giorni si racconta la bugia della mia presenza. E della presenza di un bambino che non è mai nato. E la cosa più assurda è che io lo invidio. Lo invidio tremendamente perché nella sua realtà, la realtà non è. Nella sua creazione io e lui siamo ancora insieme, talmente insieme che può perfino permettersi di non amarmi, di gustarsi tutte le sfumature di un sentimento; si arrabbia con quello che gli rimane di me, vedendomi incapace di curare nostro figlio inesistente seguendo le sue direttive. Nella sua creazione il mio corpo è inconsistente come quello di un fantasma, e può osservarmi senza inorridire come faceva prima, per il mio peso che continuava ad aumentare, rendendomi sempre meno invisibile, sempre più goffa e imbarazzata. Sono bella, dice la psicologa; sono buona, anche se ho deciso di interrompere una gravidanza. Sono viva anche se non sento alcun futuro venirmi incontro. Sono arrabbiata perché io devo vivere qui, mentre lui può vivere nella sua testa e nelle sue menzogne, e viverci bene, tanto meglio di come vivo io. Lui è il pazzo, ma sono io che ho bisogno di una psicologa. A volte vorrei mentire a me stessa anche io, e amarlo nella lontananza.
A cura di Federica Tosadori