Di Ettore Gasparri
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili. (…)”
Così recita una parte dell’articolo 21 della nostra amata Costituzione, della quale stiamo sentendo tanto parlare in questi giorni.
Per il diritto alla libertà di parola in molti, nei secoli, si sono battuti, donando anche la vita, ma la sua attuazione in Italia, al contrario di quanto si possa credere, fatica, ancora oggi, ad essere reale. Se infatti è comprensibile come nel 1948, in una situazione socio-economica disastrosa, il potere politico italiano avesse bisogno di promulgare una severa legge sul controllo della stampa per limitarla, almeno in parte, non è comprensibile come questa legge sia ancora in vigore. Con tutte le conseguenze che ne seguono.
Infatti, sia secondo il rapporto di Reporters sans frontières (link), che posiziona l’Italia al 77° posto nella classifica della libertà di stampa (dietro a paesi come Ghana, Burkina Faso, Serbia o Nicaragua), sia secondo la ricerca condotta dall’ ufficio statistiche del Ministero della Giustizia, appoggiato da Ossigeno per l’informazione Onlus (link), la situazione nel Belpaese è tutt’altro che rosea.
Più di 5000 querele infondate. Più di 100 anni di prigione come condanna. Più di 45 milioni di richieste di risarcimento danni. 30 giornalisti sotto scorta. 3000 hanno denunciato minacce. 30000 hanno subito intimidazioni. E solamente nel 2015. Ma perché tutto questo? La motivazione principale è sicuramente la mancanza di una legge che disincentivi le querele.
Nel caso un giornalista venga accusato di diffamazione subirà un processo al termine del quale, anche se dichiarato innocente, dovrà – salvo rare eccezioni – pagare le spese processuali; inoltre il suo accusatore non subirà nessuna multa e avrà il sicuro vantaggio che, per almeno il periodo del processo, il giornalista ed il suo giornale saranno limitati nel pubblicare notizie inerenti l’argomento della querela. Un altro problema è poi il malaffare e la corruzione che attraversano la nostra società in lungo e in largo e che minacciano qualunque giornalista provi a denunciarlo. E per ultimo, ma sicuramente non meno importante, la quasi indifferenza che regna a proposito di questa situazione e che ne favorisce, involontariamente o no, il perpetrarsi.
Questo problema non deve però interessare solamente i giornalisti che subiscono minacce e denunce, ma tutto il popolo che subisce un limite nella propria libertà di informazione. E dovremmo perciò impegnarci tutti per togliere il bavaglio dalla bocca del quarto potere, affinché questo possa urlare, e sbuffare, con tutta la sua voce le sue verità.
Fonti:
- Tg2 (24.10.2016) – link
- Corriere della Sera (03.05.2016) – link
- Wikipedia (“Libertà di stampa”) – link