Per chi non lo conoscesse, X Factor è un talent show che mira a selezionare la migliore voce italiana per lanciarla nell’olimpo della musica. Ormai arrivato alla sua decima edizione italiana, il programma tv ha prodotto pochi veri talenti in grado di scalare le classifiche per più di un anno o due. Ma perché? È un problema di chiusura della nostra discografia o davvero tutto quello che è riuscito a regalarci sono bravi interpreti e nulla più?
Partiamo da un presupposto: interpreti lo sono quasi tutti, o perlomeno quei concorrenti che approdano alle fasi finali. In genere la giuria di turno tende a scansare personalità musicalmente forti o con una solida esperienza compositiva alle spalle. Ma questo ha senso. Senza arrivare a disparate teorie complottiste, è plausibile ipotizzare che la Sony, che vincola tutti e 12 i partecipanti all’ultima fase con contratti discografici corposi (si parla di legami per 5 o 6 album), preferisca avere carta bianca sull’immagine ed i prodotti dei cantanti.
Se per la decima edizione si sperava in un cambio di rotta, le aspettative sono state disattese in pieno. La giuria di quest’anno non è esattamente la migliore auspicabile, soprattutto da un punto di vista della cultura musicale. Nelle prime puntate si sono viste alcune assegnazioni banali e totalmente in conflitto con la predisposizione e l’attitudine degli artisti. L’inadeguatezza di giudici come Arisa e Alvaro Soler, la prima tutta voce e nulla più, il secondo troppo disinteressato a qualcosa che vada oltre il karaoke, è palese. Gli altri due “caposquadra”, Fedez e Manuel Agnelli (frontman degli Afterhours), cercano di tenere in vita una gara fin qui deludente dal punto di vista qualitativo, alternando sprazzi di buona musica a scelte tanto anticonformiste da risultare forzate.
Sia chiaro, questa non è per forza una nota negativa: in un contesto simile la sperimentazione di nuove voci è inevitabile e dà vita ad alcune reinterpretazioni notevoli, ma spesso tutto si riduce ad un esercizio stilistico frutto dei capricci di questo o quel giudice.
Sono proprio loro spesso a giustificare lo scarso spessore dei brani da loro scelti sostenendo che X Factor, in quanto talent show, miri a scovare la nuova stella del pop, più che il nuovo De André. Mani avanti, ci mancherebbe. Tuttavia il motivo per cui l’industria discografica italiana continua a produrre album guardando più alle voci che ai contenuti è esattamente questo: il pop vende, gli esperimenti chissà. Attenzione, non stiamo parlando di preferire star della musica indipendente, negli ultimi tempi estremamente sopravvalutate, ad artisti pop; anche perché il pop di oggi pesca a piene mani da quella che fino a qualche anno fa era considerata indie music. In Italia manca una scena musicale innovativa e quando qualche artista di qualità prova ad emergere, viene spesso confuso con la miriade di artisti dalle sonorità simili ma privi di qualsiasi contenuto, musicale e non.
Ogni giorno emerge dal nulla un presunto futuro De Gregori, che riempie i propri testi con tutte le espressioni più ricercate che riesce a trovare in modo da risultare più bello che dannato.
Una cosa manca del tutto: la sperimentazione. Che si parli di musica folk, R’n’B o funky, è difficile trovare qualcuno che mettendoci del suo provi a creare qualcosa di nuovo, e quando accade, la sua notorietà si ferma sempre a qualche passaggio in radio e un’ospitata in terza serata.
Che il pubblico musicale italiano sia uno di quelli che si accontenta si sa da tempo, ma non dovrebbe farlo chi fa della musica il proprio lavoro, ancor di più se intende promuoverne di innovativa e ancora sconosciuta. Per gli artisti emergenti X Factor rappresenta una via meno accessibile di un canale YouTube ma dalle potenzialità decisamente più accattivanti. Sarebbe bello vedere più talenti mettersi in gioco ma anche sapere che chi ha il compito di selezionarli sia in grado di capire dove sta l’asticella e chi può alzarla.
Ma chi dovrebbe farlo se non chi gira l’Italia per tutto l’anno, ascoltando decine di migliaia di artisti per poi sceglierne uno solo? Sicuramente la produzione del programma ha i propri interessi da perseguire, tuttavia sarebbe sensato che chi si fregia di una missione simile lo facesse anche un po’ nell’interesse della musica stessa.