“Il Corano è per sua natura violento”. Una delle tante asserzioni che pullulano spesso nei dibattiti televisivi, talk-show di alta o bassa lega, ma che si sta anche diffondendo a livello popolare.Tuttavia, la domanda che sorge spontanea è: siamo sicuri che non si mai esistito un altro libro sacro che abbia provocato violenza? Se prendiamo alla lettera l’affermazione in questione, esiste un insieme di libri ben noto a noi che non è scevro da connotazioni violente: la Bibbia. Il Corano è quindi il solo libro sacro con passi violenti? Sbuffiamo all’idea.
Violenza nella Bibbia
Per quanto blasfema possa suonare come affermazione nel mondo moderno, è proprio così. Molti personaggi biblici hanno fatto ricorso alla violenza, basti pensare a Mosè che stende la mano sul mar Rosso, facendo strage dell’esercito egiziano, a Giosuè suo erede, non certo tenero nei confronti delle popolazioni abitanti la Terra Promessa… E Dio in tutto questo c’è eccome, è lui a comandare a Mosè cosa fare contro i carri del faraone, si compiace delle conquiste di Giosuè. Se ci atteniamo alla lettera dei testi, il Dio dell’Antico Testamento sarebbe, nella migliore delle ipotesi, un sanguinario pluriomicida.
Questione di metodo
Lungo la storia del cristianesimo si è venuto affermando progressivamente il cosiddetto metodo storico-critico, che ha portato progressivamente a spogliare i testi delle letture assolute e porli in relazione al modo e al tempo di composizione. Possibile che, trattandosi di testi ispirati ma comunque composti da uomini questi testi esprimano anche il punto di vista delle comunità a cui essi sono legati? Legittimare sotto l’idea del “Dio lo vuole” era forse una prassi comune per cementare le comunità a cui i testi sono destinati. Vi suona familiare?
Ostacoli nel mondo musulmano
La legittimazione divina della guerra – jihad – condotta dal profeta Muhammad contro i suoi avversari si inserisce in questa visione della religione come collante sociale. La lettura integralista (“zahirita”) è largamente in uso nel mondo musulmano, in primis l’Arabia Saudita, paese custode dei luoghi sacri dell’Islam. Perché? Perché il Corano è considerato divino e increato, il cui archetipo (umm al-kitab) esisterebbe presso Dio. Tale considerazione deriva dal potentissimo ruolo fonetico, retorico e concettuale rivestito dalla lingua araba, in cui il Corano fu rivelato da Dio. Il passaggio da una lingua di cammellieri e mercanti a una lingua ai limiti della perfezione formale per un arabofono, dotata di rime ed assonanze, poteva far presagire una sola conclusione: il libro è opera divina, non umana. Con buona pace delle sette originali copie del testo (4 a Kufa, 1 a La Mecca, Damasco Baghdad e Bassora) esistenti al tempo della fissazione del canone coranico, ai tempi del terzo califfo Uthman (644-656).
E allora?
I tentativi di introdurre una lettura storico-critica nel mondo musulmano hanno avuto esito poco fortunato, basti pensare alla fucilazione del modernista sudanese Muhammad Taha e alla fuga dall’Egitto del filosofo Nasr Hamid Abu Zayd. Ci sono però prese di coscienza sempre maggiori da parte del mondo islamico: basti pensare alla fondazione in Marocco della università anti-jihad che forma imam in contrasto alla jihad. In Iran, una delle caratteristiche principali dello shi’ismo è la lettura più legata al senso nascosto (batinita) del testo sacro.Da un ripensamento del rapporto con il testo sacro può ripartire un processo di dialogo civile e produttivo: non facciamoci abbagliare dai facili slogan. Il Corano non sarà violento, ma la sua lettura nel senso puramente letterale apre la strada alle distorsioni operate dagli integralisti, così nel Corano come nella Bibbia.
Fonti:
Burnet, Regis. Il Nuovo Testamento, Queriniana, Roma, 2005
Branca, Paolo. Introduzione all’Islam, San Paolo, Milano, 1995.