di Sara Lazzari
Lo storico ristorante romano “Agata e Romeo” situato nel quartiere dell’ Esquilino, chiude definitivamente baracca e burattini per lasciare il posto all’ennesima insegna cinese. Il locale nacque alla fine dell’ Ottocento come trattoria per muratori in gestione alla famiglia Parisella e l’ ultima di 5 figli, Agata, riuscì nel 1974 a convincere il marito Romeo Caraccio ad abbandonare gli studi di Medicina per continuare l’ attività che da quel momento prese il loro stesso nome. ”La crisi economica non c’entra, ma ogni cosa ha il suo tempo e noi il nostro lo abbiamo fatto.”
I due coniugi ammettono di iniziare ad essere stanchi dei ritmi di un ristorante stellato; un peso che neanche le figlie hanno intenzione di portare. A cambiare sono sia le generazioni che non intendono più sporcarsi le mani e preferiscono mansioni burocratiche, ma anche la fisionomia di un quartiere schiacciato dalla varietà multietnica in cui la tradizione italiana sembra non trovare più spazio.
Le indagini affermano che in Italia i settori e le categorie che presentano le retribuzioni più basse sono gli under 30, gli apprendisti e i lavoratori del settore alberghiero-ristorazione. Di contro un uomo over 30, che lavora nel settore finanziario è al vertice della classifica (dati INPS luglio 2016).
Romeo iniziò a seguire corsi di sommelier in Italia e all’estero, mentre Agata trascorreva “fino a 15 ore al giorno nelle cucine dei grandi chef, anche in Francia, per carpire segreti e trucchi”. Oggi invece si inizia a lavorare nel ristorante dei propri cari per portare a casa qualche spiccio a fine mese, ma i giovani, quando viene chiesto loro cosa vorrebbero fare da grandi, rispondono ”non il lavoro dei miei genitori’’. Cambiamento della società e richieste differenti nel mercato del lavoro? C’è da dire che quanti di noi spesso vorrebbero mangiare una buona carbonara od un risotto alla milanese e si ritrovano in mano bacchette e salsa di soia? Dov’è la linea sottile tra l’ aprirsi allo straniero e inglobare culture diverse dalla propria, e la tradizione delle ”cose di una volta”?
Si impara l’ arte che da generazioni ha accompagnato i nostri nonni e i loro padri, e poi la si mette da parte. E’ giusto seguire la propria strada e le proprie vocazioni, ma se non siamo noi italiani a produrre il ‘’Made in Italy’’ dove ci aspettiamo di trovarlo?
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