THREE MEN IN A BOAT

“Cosa voglio di più”…
Titola un film in cui recita una delle mie attrici preferite.
Parla di cose vere, di tradimenti, di amori carnali e passionali.
Non giudico il modo in cui una donna decide di gestire il proprio corpo, il proprio desiderio.
Ma da donna, io, cosa voglio di più?

Il primo lo incontrai tra i chiostri in università. Mio coetaneo. Mio acerrimo nemico politico. Lui che sapeva di acqua santa io che ero rossa come la rabbia.
Dal Greco, il suo nome significa ‘seguace di Cristo’.
Mani non grandissime ma forti, come due pinze.
Occhi castani dietro lenti rettangolari. Occhi svegli e occhi da buono. Ma buono non era il primo aggettivo con cui l’avrei descritto. Non era buono in superficie. Era pungente, e la cosa mi divertiva. Cosa vuoi più di un uomo che sappia prenderti in giro?
Fumava Lucky Strike rosse. Tantissime. Fumare lo concentrava.
Lo conobbi durante le elezioni dei rappresentanti di facoltà, stravinse, io arrivai solo quinta. Ho sempre avuto un debole per i leader, per chi è meglio di me.
Gennaio 2008, sigaretta pre-esame nel chiostro. Ero in Italia solo per quell’esame, stavo studiando a Paris IV – Sorbonne quell’anno. Parigi, che mi fece volare e vedere. Milano che sembrava così cacofonica quando tornavo.
Vide il mio sogno, il mio progetto nei miei occhi miopi e azzurri. Mi disse: “non avere paura di volare”. Che frase banale.
A febbraio seppi che era partito per studiare e diventare prete missionario.
Grazie seguace di Cristo per avermi insegnato che le idee e le passioni non sono politica, che come tu dici, come Gaber dice ‘Cos’è la destra, cos’è la sinistra’.
Grazie per avermi fatto notare che ho delle ali, forse goffe e arruffate come quelle di un albatros.

Il secondo aveva un bizzarro nome scozzese, ‘canale’ oppure ‘stretto’.
Occhi azzurri, quasi sempre accessi da una luce ultraterrena. Ma che hai da sorridere sotto la pioggia battente, al vento, mentre distribuisci volantini e nessuno ti si fila?? È il tuo compleanno?
Nei volantini c’era il suo credo.
L’avrei preso tra le braccia, fuori da quell’università di pietra arenaria, famosa per tutti gli scrittori che vi hanno studiato, l’università protestante in quel paese di cattolici.
Gli chiesi dove studiava. Aveva finito da un pezzo, mi disse; a Oxford, aggiunse con tristezza, come se dovesse espiare una colpa.
Come fai a non amare la creatura più simile a te che tu abbia mai visto su questa terra?
La cultura, il senso di colpa per la provenienza, la necessità di dare, di prodigarsi.
Aveva un ottimo impiego a Londra, marketing.
Aveva un donna da sposare, le aveva dato l’anello, l’aveva promesso.
Lasciò tutto per viaggiare e vivere quasi da mendicante, in una roulotte.
Il suo scopo: costruire un senso di comunità, in giro per il mondo.
Era  stato in ospedale due volte, la prima per overdose di cocaina, la seconda per donare un rene.
Mani: le più belle che abbia mai visto in un uomo. Un po’ screpolate, lunghe e delicate, da scrittore, ma abbastanza grandi da prenderti tutto il viso in una carezza.
Gli piaceva la Bibbia, l’Apocalisse. Ma dell’ Apocalisse non sapeva nulla! Avrei voluto spiegargliela.
Fui ricoverata in ospedale poco dopo averlo conosciuto, lo rividi una volta e poi mai più.
Grazie “canale scozzese”, per avermi fatto comprendere che la gente ti giudica ma ti perdona se finisci in psichiatria, ma mai potrà perdonare una scelta idealista.
Che più che per le medicine che prendi, la gente ti dirà folle perché ami e dai senza compromessi, perché non lavori in una grande azienda dalle 9.00 alle 17.30 e il tuo sogno non è sposare Marie e accendere un mutuo. Il tuo sogno è quello di vivere come un discepolo di Cristo. Non condivido, la tua mi sembra una fuga, ma sei grande abbastanza per scegliere.
Grazie, perché anche tu sei un folle e vivi nel tuo credo.

Con il terzo è più complesso.
Si tratta di un professore, di cui la mia piccola studentessa Bea mi parlò nel Marzo 2011. Era il suo professore di Italiano, ed era ‘fantastico, Anna devi assolutamente conoscerlo!’.
Dovevo conoscerlo, per quanto io non creda nel destino.
Due anni dopo lessi un cognome, scritto sulla copertina di un libro di Allegra, un’altra mia piccola alunna. Chiesi chi fosse l’autore.
Era un professore, ed insegnava nella sezione di Bea.
Non leggo libri contemporanei, ma, incuriosita, andai a spulciare il blog di questo giovane professore, il cui nome significa “protettore dell’uomo”.
Che botta alla testa e che colpo al cuore, riconoscere il simile nel simile! Vedere te stesso in un altro.
Qualcuno che insegna, studia, scrive.
Riuscii ad avere un appuntamento.
Aspettavo dietro la vetrata, nel bar della sua scuola che sembra un acquario.
Arrivò quasi in punta di piedi, un passo leggero, uno zainetto da studente.
Mi sentivo goffa, non ero lì per farmi firmare una copia del libro.
E non ero lì neanche perché ha gli occhi azzurri né per la tenerezza che fa da quanto è minuto, mani minute, avrebbe potuto essere brutto e strabico come Sartre per quanto mi riguarda.
Mi sarei bevuta la sue parole e gli avrei chiesto di continuare a parlare, insegnarmi, dirmi, raccontarmi, come si fa, come si fa ad essere un buon professore, come si fa a scrivere, come si fa a non avere paura dei nostri sogni anche se vengono derisi dai più.
E poi, e poi ascoltava! Come un amico, come un giovane padre, come qualcuno che ti confessi.
Tipica storia della studentessa che si fa conquistare dal fascino del professore. Da piccola pensavo mi sarei sposata con un professore di Economia Politica. Ora non voglio sposarmi.
Lo vedrò ancora. Spero.
Nei miei occhi sgranati le mie amiche non riescono a vedere, devo insistere.
“Anna ma allora? Sembra tu stia parlando di Buddha!”
Grazie protettore dell’uomo, tu non lo sai, ma dopo averti letto ho ripreso in mano le mie carte, piene di muffa e di lacrime, e sono qui a scrivere alle 4 di mattina.
Bene, tiriamo le somme: con Cristiano il missionario, nulla di fatto!
Kyle il girovago, niente!
Alessandro il professore, nemmeno.
Anna zero, palla al centro.
Da brava comparatista, ho voluto raccontare tre storie, per poi paragonarle con una teoria che faccia da collante.
Qual è il collante?
Il collante è la fede? Forse. E’ ben ridicolo che le tre persone che mi hanno ispirata siano tutte molto pie, io che distribuirei copie gratis de “Il secondo sesso” fuori dalle scuole. La loro fede è un credo personale, non un prefabbricato.
Il collante è che un’idea, un sogno contano più che una botta, e se ora state arrossendo alla parola “botta” è perché siete  molto ipocriti o viceversa perché forse esiste ancora qualcosa chiamato “innocenza”.
Il collante sono tre uomini che riescono a darti quel di più senza chiederti, senza chiedere.

Sharp

Credits

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