“Good afternoon from Aleppo I’m reading to forget the war.” Così twitta Bana Alabed. Ma Bana non è una inviata speciale. Non è un medico in zona di guerra. È solo una bambina. E di soli sette anni. Una bambina che però con i suoi flebili cinguettii prova a far tacere l’assordante rumore dei bombardamenti che da mesi devastano la sua città natale.
I suoi tweet raccontano, da circa un mese, con l’ingenuità che solamente una bambina può avere, la vita quotidiana ad Aleppo, città contesa tra i gruppi ribelli e le forze governative e devastata ogni giorno dai raid aerei. Ma Bana dalla polvere e dalle macerie, con l’aiuto della madre, che firma molti dei tweet presenti sul profilo, ci parla non solo della guerra, ma anche delle sue speranze e dei suoi sogni che, più forti e robusti degli ospedali, delle scuole e delle case, resistono alle bombe.
“Please stop killing us we need peace. I need peace to become a teacher” è uno dei tanti messaggi affidati al social network, nella speranza, forse vana, di fermare gli attacchi aerei e i morti, prima che una bomba possa distruggere anche la sua casa e uccidere lei e i suoi fratelli. Sì, perché Bana non è l’unica bambina in questo inferno, ma è anche con i suoi fratelli più piccoli, Mohamed e Norr rispettivamente di cinque e tre anni.
Seppure in una situazione così tragica, questa moderna Anne Frank, decide di mostrarsi coraggiosa e di ricordarci come l’amore possa sconfiggere la guerra. Il suo messaggio, dedicato ai fratellini, è “Vivremo per sempre insieme.” Ma a questi momenti di pura speranza si alternano inquietanti momenti di paura e terrore, come quando la madre ci ricorda come sua figlia abbia assistito alla morte di un amico e alla distruzione della sua scuola, che non frequenta ormai da circa un anno, e come ogni giorno ed ogni notte senta il rumore delle bombe e della morte che si avvicina. “Ho molta paura che morirò stasera. Le bombe mi uccideranno.”
Please let me be happy and stop the war – Bana #Aleppo
— Bana Alabed (@AlabedBana) 30 settembre 2016
Bana e la madre sono però state più volte, e da più parti, tacciate di aver creato un falso profilo e di aver sfruttato twitter per scopi propagandistici. Ma che il profilo sia falso o vero poca importa. La richiesta di soccorso di Bana, e di molti altri bambini, seppur non affidata ad una bottiglia lanciata nell’oceano, ma a quei 140 caratteri virtuali, va ascoltata. Prima che sia troppo tardi. Prima che quel flebile cinguettio sia messo a tacere per sempre.
Fonti:
The Post International
Twitter Alabedan
Immagini:
Immagine in copertina