Probabilmente il fenomeno di moda più discusso dell’ultimo mese, quello del “Ready to buy” ha letteralmente diviso in due il fashion system: o lo ami o lo odi, niente vie di mezzo. Brand del calibro di Burberry, Tom Ford, Tommy Hilfiger, solo per citarne alcuni, hanno adottato questa strategia di marketing lanciata già con le collezioni autunno/inverno 2016/2017 da marchi come Rebecca Minkoff, Prada, Courrèges, Alexander Wang. Tom Ford ha invece totalmente stravolto il ritmo stagionale della moda: alla fashion week di New York ha presentato la sua collezione autunno/inverno, invece che primavera/estate, consentendo ai clienti di comprarla immediatamente, ribellandosi all’ “idea antiquata” di mostrarle 4 mesi prima che siano effettivamente disponibili.
Si tratta senza dubbio di una rivoluzione senza precedenti nel campo delle vendite, ma è importante realizzare che ci troviamo di fronte alla vittoria dell’immediato, dell’effimero, del “tutto e subito”. Non si tratta di ready to wear, pret-à-porter, ma di ready to buy, see-buy-wear. Il focus non è più sulla sfilata in quanto evento spettacolare, né sull’opera sartoriale in sé, bensì sulle vendite, sull’accattivarsi il cliente sperando di indurlo ad acquistare di più, rendendogli immediatamente disponibili capi visti poche ore prima addosso a mannequin professionisti.
Il cambiamento non si registra solo a livello di sfilate e vendite, ma principalmente nel campo di ideazione e produzione. Dover avere già i capi pronti in magazzino alla presentazione delle sfilate vuol dire iniziare a produrre almeno 4-5 mesi prima, e di conseguenza progettare le collezioni con 5-6 mesi d’anticipo. Questo impedirebbe inoltre agli stilisti di modificare gli abiti prima della sfilata, costringendoli a precorrere significativamente la fase della creazione. Probabilmente è stato questo a spingere marchi storici come Chanel e Dior a non adottare questa strategia: molti stilisti, tra cui Dolce&Gabbana, non riescono a concepire di dover smettere di lavorare su una collezione 5 mesi prima della sfilata e di vedersi negata la possibilità di apportare modifiche fino all’ultimo momento. Per questi designer il processo creativo inizia circa 6 mesi prima della settimana della moda e si conclude 5 minuti prima dell’entrata in scena.
Probabilmente quella del ready to buy è anche una strategia per evitare che i colossi del fast fashion (Zara, H&M, Forever 21) immettano sul mercato abiti simili, se non spudoratamente copiati, prima ancora degli originali del pret-à-porter. A capo di queste catene non troviamo la figura del designer, ma aggressivi gruppi di cacciatori di tendenze costantemente alla ricerca degli ultimi trend, riproposti con una qualità notevolmente abbassata, necessario prezzo da pagare per ridurre al minimo i tempi di produzione.
Così facendo perde totalmente importanza il ruolo di editors, buyers e stylist, che precedentemente avevano il compito non scritto di indirizzare i consumatori verso determinati capi o stili. Avendo la possibilità di vedere le collezioni ben prima che arrivassero nei negozi determinavano il successo o l’insuccesso di abiti indossandoli personalmente o includendoli nei servizi di moda, pubblicando editoriali o pubblicità. Acquisteranno ancora più importanza le figure dei fashion blogger o degli influencer, che per quanto spesso non abbiano alcuna competenza specifica tranne i milioni di followers, si stanno affermando come i nuovi miti del mondo della moda, emulati e ascoltati come profeti di stile. Condividendo sui social le foto dei loro look preferiti determinano in pochi secondi un picco di interesse nei confronti di quegli outfit, facendone decollare le vendite; tutto ciò in tempo reale, a poche decine di minuti dalla sfilata, se non durante la stessa.
Concludendo, nonostante il cambiamento continuo sia una caratteristica propria della moda, questo in particolare lascia parecchie perplessità: È davvero necessario accelerarne ulteriormente i ritmi, già abbastanza avanti da presentare le collezioni autunno/inverno a marzo? Il mondo della moda è veramente disposto a rinunciare ad una delle sue caratteristiche insite, la stagionalità, in nome di una strategia di marketing sì rivoluzionaria, ma che ne stravolgerebbe completamente l’industria? Sono dunque le vendite la forza che guida il cambiamento in questo mondo? Evidentemente sì, e non c’è null’altro da fare che aspettare di scoprire se queste strategie funzionano o no.