Il ruolo del critico rispetto all’opera d’arte è da sempre un tema spinoso e di difficile trattazione. Quali siano i suoi limiti, quali i compiti e le possibilità di questa figura, sono domande che vengono poste fin da quando un uomo per la prima volta ha ritenuto possibile giudicare un’opera d’arte. In questa discussione si inseriscono le due interessanti opinioni di Oscar Wilde e Thomas S. Eliot, due dei più acuti ed attenti intellettuali dell’Inghilterra moderna.
Le opinioni dei due le possiamo trovare ne Il critico come artista per Wilde e Il critico perfetto per Eliot. Il primo è un saggio sotto forma di dialogo fra due amanti dove vengono toccati moltissimi punti, dall’arte all’amore, e dove la riflessione sulla critica in senso stretto è quasi solo un passaggio, all’interno di una disamina molto ampia ed affascinante. Il secondo è invece un breve saggio estremamente puntuale dove l’autore si concentra sul ruolo del critico e su cosa lo possa rendere un critico perfetto, come evidenziato dal titolo. E’ interessante osservare come i due, nonostante molte osservazioni simili ed alcune passioni in comune, quelle per Shakespeare e Dante, giungano a risultati diametralmente opposti.
Wilde fa confluire nel suo ragionamento quell’estetismo decadente che lo accompagnerà per tutta la sua vita. La teoria di “arte per l’arte” torna anche in questo campo. Il critico è infatti artista poiché nel momento in cui decide di poter giudicare un’opera, nel momento in cui ritiene di averne il diritto, inizia necessariamente un percorso di appropriazione della stessa e di reinterpretazione dei suoi simboli, che non può in alcun modo prescindere dall’individualità di chi lo sta facendo. Il critico che interpreta diventa quindi artista a sua volta, poiché nella sua operazione crea un’altra opera d’arte, dando vita ad un gioco di scatole cinesi, dove l’arte per l’arte diventa sempre più viva e preponderante. Questa riflessione si collega ad altre sue idee, maturate durante il processo per sodomia che lo porterà al carcere. Durante un interrogatorio disse infatti che “una verità condivisa da due persone cessa di essere tale”. Possiamo già da questa visione intravedere ciò che verrà sviluppato ne Il critico come artista, ossia l’impossibilità di creare un campo di condivisione o di assoluti.
Eliot porta avanti un ragionamento ben diverso. All’interno della sua poetica la ricerca di oggettività è sempre stata forte e chiaramente non potrebbe mai approdare ad opinioni soggettiviste ed individualiste come quelle wildiane. Il critico per Eliot deve scomparire nell’opera che commenta. Il critico deve commentare unicamente l’opera, quasi come fosse un prodotto astratto, e rinunciare nella maniera più assoluta ad ogni forma di giudizio personale e d’opinione. Il giudizio da cercare deve essere tecnico ed oggettivo, attento e mai creativo o re-interpretativo. Sul tema della creatività nella critica Eliot si sofferma, ritenendo che i critici migliori sono gli artisti poiché esauriscono il loro bisogno di sfogo creativo nelle loro opere, rimanendo scatole vuote che possono essere riempite dall’opera da giudicare. I critici di professione invece spesso devono ancora sublimare i propri slanci creativi e spesso lo fanno nei commenti che diventano prose artistiche più che analisi.
Dal critico che diventa artista all’artista che fa il critico, due opinioni completamente differenti, che gettano luce su diversi approcci all’arte stessa.