Woody Allen realizza il suo primo film in digitale: è “Cafè Society”, uscito nelle sale italiane il 29 settembre 2016. Stavolta lo scenario è la Hollywood degli anni ’30, un luogo che inizialmente appare idilliaco al giovane protagonista, il newyorkese Bobby (Jesse Eisenberg), che tenta di costruirsi una carriera come agente cinematografico svolgendo commissioni umili per conto di suo zio Phil (Steve Carell), membro importante della società di Los Angeles. Qui incontra Vonnie (Kristen Stewart), ragazza di cui si innamora perdutamente e con cui arriva a passare molto tempo libero. Questo rapporto subirà diversi colpi di scena, che porteranno Bobby a rivedere le sue aspirazioni e a tornare a New York come un uomo adulto, pronto a dare una svolta alla sua vita.
La trama non è particolarmente articolata: si tratta chiaramente del racconto del percorso di crescita personale di un ragazzo, unito alla rappresentazione delle èlite americane -quella di Los Angeles e quella di New York- nel contesto dorato degli anni ’30. Un progetto dunque semplice, ma tutto sommato ben riuscito: i cambiamenti che si ritrova ad affrontare Bobby -realizzazione di sogni ma anche delusioni- definiscono pian piano la sua personalità, aiutandoci a capire il suo stato d’animo nel relazionarsi a classi sociali che invece sono già ben stabilite, sicure della loro posizione. Questi ricchi individui si mescolano al contesto originario di Bobby, cioè una modesta famiglia ebrea: brillante il personaggio della madre di Bobby, che rappresenta in modo squisitamente ironico lo stereotipo della casalinga ebrea: incredibilmente cieca di fronte alle attività chiaramente losche del figlio maggiore, Ben, diffidente verso tutto ciò che ignora e in perenne battibecco col marito.
Una critica, tuttavia, va fatta: l’interpretazione di Kristen Stewart, infatti, non è delle migliori. Forse l’attrice è rimasta irreparabilmente legata al suo primo personaggio noto, quello della goffa e insicura Bella Swan nella saga di “Twilight”; forse, invece, è semplicemente tipico di Kristen mantenere un’espressione corrucciata, piegata convulsamente in piccoli morsi alle labbra e continui battiti di ciglia, come se fosse perennemente a disagio o turbata da qualcosa. Il personaggio di Vonnie è a sua volta combattuto tra pungenti indecisioni e possibilità, ma almeno nella prima parte del film poteva essere interpretato in maniera un po’ più solare ed estroversa. Inoltre, va ricordato che è proprio Vonnie, oltre a Bobby, a subire un cambiamento notevole nel corso dello svolgimento degli eventi: proprio per questo la resa del personaggio poteva essere un po’ più accurata.
Ma la descrizione delle società di cui si racconta è assolutamente resa in modo realistico e si può inoltre definire intrigante la filosofia di fondo del film, riassumibile in un “non è tutto oro ciò che luccica“. Proverbio antico che potrebbe suonare banale ma in questo film risuona come tutt’altro che scontato. Vonnie è la prima a predicarlo indirettamente, eppure diverse scene dopo queste parole non saranno tanto ovvie, nè per lei nè per gli altri personaggi. Los Angeles: il nido di Hollywood, un mondo dorato tanto desiderabile quanto inclemente. Bobby e Vonnie dovranno sperimentare sulla propria pelle cosa vuol dire ottenere ciò che credevano di volere o di non volere, e la loro coerenza verrà messa alla prova in modo inimmaginabile. Ma c’è un’altro messaggio che ci trasmette la pellicola: “e se…”. E se Bobby fosse rimasto a Los Angeles? E se Vonnie avesse fatto altre scelte? E se si realizzano tutti gli obiettivi professionali, cosa resta dentro l’anima? E’ davvero possibile realizzarsi in toto o qualcosa va sacrificato? Cosa significa veramente crescere, diventare adulti e “sistemarsi”? Esiste poi una qualche risposta a tutte queste domande? Forse sì, forse no. Ma non sono le risposte che vanno cercate, non certo nei lavori di Woody Allen: sono le domande ad essere interessanti, insolite, infinite. Se andrete a vedere “Cafè Society”, avrete quindi l’occasione di interrogare ciò che vedete ed esserne a vostra volta interrogati, dialettica che vi avvincerà e vi lascerà quel sapore dolce-amaro che solo un finale aperto in perfetto stile alleniano può donarvi.