Il bosco degli urogalli[1] è una raccolta di racconti di Mario Rigoni Stern pubblicata per la prima volta da Einaudi nel 1962. L’autore, attraverso una prosa chiara e scorrevole, descrive il mondo della montagna ed i suoi abitanti, parla del trauma lasciato dall’esperienza della guerra e tratteggia la vita spesso difficile di italiani costretti ad abbandonare la propria patria per poter trovare lavoro. I protagonisti dei dodici racconti che compongono la raccolta sono soldati che ritornano a casa a piedi alla fine della Seconda Guerra Mondiale, cacciatori che non si danno per vinti, uomini e donne dediti al lavoro nei campi, ma anche animali, sia domestici che selvatici. Stern ci restituisce un’immagine realistica della società rurale del nord-Italia a cavallo tra il XIX ed il XX secolo, non priva però di un certo lirismo ed alcune note di malinconia. Le due grandi tematiche dell’opera sono quelle della guerra e della caccia, che frequentemente si intrecciano e si sovrappongono in un sublime gioco di acute immagini metaforiche.
- La guerra: presenza ingombrante e dolorosa, in questi racconti viene descritta sia attraverso gli effetti traumatici che lascia nell’animo umano, sia attraverso la descrizione della distruzione fisica di ambienti naturali e zone civilizzate. Un passo che può essere portato come esempio della prima tipologia si colloca nella parte finale del racconto Una lettera dall’Australia, dove il protagonista, assalito dalla febbre durante una battuta di caccia, rivive alcuni ricordi di quando era soldato attraverso un incubo/allucinazione: “Svaniva tutto in quel bagliore rovente, anzi quel bagliore si gelava e diventava tutto bianco e turbinoso e udiva uno sparo, due spari, una raffica. Membra di marmo sulla neve e ghiaccio rosso, e subito tutto si copriva nel turbine bianco”[2]. Altri passi interessanti li troviamo nel racconto Vecchia America, dove due fratelli emigrati negli Stati Uniti fanno ritorno al loro paese d’origine in Italia e notano che “I grossi abeti non c’erano più, erano stati portati via dalla guerra”. La devastazione, dunque, non risparmia niente e nessuno, è come una terribile forza capace d’inghiottire uomini, animali, piante, una forza che, però, può essere smorzata dalla solidarietà del prossimo, da valori tradizionali come quelli degli affetti familiari e del lavoro semplice ed onesto, oppure dal rapporto con la natura.
- La caccia: in questo caso il rapporto tra uomo e natura lo vediamo realizzarsi pienamente nell’attività venatoria. Nel sistema dei valori che viene rappresentato, la caccia non ha attributi negativi, anzi. Ad essa viene associata una funzione quasi liberatoria: “ Ma perché sparava agli urogalli? Alle coturnici? Ai francolini? Ai forcelli? Non lo sapeva nemmeno lui, ma era una necessità perché in quei momenti si sentiva più libero di ogni altro uomo. O meglio non che la sentisse questa libertà, ma accadeva che allora scompariva tutto: la fatica del lavoro, i bisogni di tutti i giorni, obblighi e impegni che comportano il vivere tra gli uomini e tutto il resto”[3]. Ma la caccia, nei racconti di Stern, assume un significato ancora più profondo: è un’occasione per sentirsi parte di qualcosa di più grande. La caccia unisce i destini dei protagonisti dei racconti e delle loro prede, delle quali a volte è presentato il punto di vista, come avviene per il vecchio urogallo del già citato racconto Una lettera dall’Australia.
In definitiva, il bosco degli urogalli risulta essere una narrazione estremamente evocativa e piacevole. L’autore, che visse sulla propria pelle gli eventi della guerra (partecipò alla campagna di Russia durante la Seconda Guerra Mondiale, esperienza narrata nel famoso Il Sergente nella neve), riesce a descrivere con efficacia la natura tipica dell’altopiano di Asiago, a cui rimase legato per tutta la vita. Leggendo, possiamo quasi sentire lo scricchiolio di qualche ramo sotto ai piedi o il silenzio quasi sovrannaturale che avvolge le notti di luna nel bosco, quando cade la neve. Stern utilizza un lessico fedele alla parlata e ai modi della gente di montagna, inserendo nei racconti, con una certa frequenza, termini dialettali che non stonano affatto con il resto della narrazione, anzi, riescono ad esprimere concetti o sensazioni altrimenti inesprimibili. Una lettura, dunque, capace di farci conoscere un mondo che vale la pena di esplorare.
Crediti immagini:
[1] Per l’articolo è stata utilizzata la seguente edizione: Mario Rigoni Stern, il bosco degli urogalli con presentazione e note a cura dell’autore, Giulio Einaudi editore, 1970, Torino.
[2] Op.cit., pag. 59
[3] Op.cit., pag. 84