LA STANZA CINESE, UN ESPERIMENTO MENTALE

di Giacomo Rota

A partire dalla seconda metà del Novecento, con la costruzione dei primi mastodontici calcolatori e gli sviluppi della cibernetica, sorse la domanda se un computer non potesse costituire uno strumento di riferimento per lo studio della mente umana.

Di per sé l’idea si basava sulla seguente proporzione: così come un computer presenta un supporto fisico (hardware) e un programma che opera su di esso (software), perché non dire che l’apparato cerebrale umano sia il supporto fisico di un software implementato su di esso (la mente)?

La teoria dell’intelligenza artificiale (AI) ebbe un certo seguito nella comunità scientifica di allora e ancora oggi esistono versioni epistemologicamente diverse e più “raffinate” di questa teoria.

Consideriamo come intelligenza artificiale forte (AIf) la teoria che considera il computer non solo uno strumento utile per uno studio comparativo, quanto piuttosto l’idea che un computer adeguatamente programmato sia davvero una mente.

Uno degli argomenti più noti contro la AIf è stato ideato dal filosofo della mente John Searle, apparso già nel 1980 e riproposto poi in diverse sue pubblicazioni. Con il suo argomento – detto “della stanza cinese” – Searle si opponeva all’idea che un computer fosse in grado di pensare, vale a dire che si comportasse come se capisse le proprie operazioni.

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Immaginiamo due stanze, in cui in una c’è un cinese e nell’altra un computer programmato per ricevere e rispondere a qualsiasi tipo di input in cinese. Tra le due stanze c’è soltanto una fessura e il cinese inserisce progressivamente dei messaggi scritti in cinese e riceve risposte corrette in cinese. Si dice allora che il computer supera il “Test di Turing” (link), dal momento che il cinese, che non vede cosa o chi c’è nell’altra stanza, si convince che chi gli risponde sappia e capisca il cinese.

Supponiamo ora che nella stanza del computer ci sia John Searle e che questi disponga di un dizionario cinese-inglese e di un manuale dettagliato e completo di come scrivere in cinese. Searle non ha la minima idea di cosa vogliano dire i segni che arrivano dalla fessura, ma, con molta pazienza, riesce a rispondere correttamente a tutti gli input che gli arrivano dal cinese dell’altra stanza, confezionando le risposte seguendo le istruzioni dei suoi manuali.

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Dal momento che Searle non capisce il cinese ma riesce a manipolarne ugualmente i simboli, i sostenitori della AIf si trovano a dover rigettare l’idea che il computer sappia quello che fa: in altre parole, un computer è semplicemente un manipolatore di simboli, che agisce a livello della sintassi (esattamente come fa Searle). Quello che manca per poter dire che c’è uno stato di conoscenza, è la semantica, ovvero la comprensione e interpretazione dei simboli della sintassi (nel nostro caso gli ideogrammi cinesi).

L’argomento di Searle suscitò diverse contro-risposte e molto spesso i critici fecero notare che la teoria dell’AIf era già stata considerata “eccessiva” e si era provveduto a fornire altre versioni. Per concludere con un argomento di critica a Searle, possiamo considerare la cosiddetta “risposta del sistema”: la persona sarebbe come un  neurone del cervello; il singolo neurone non capisce, ma contribuisce alla comprensione. Di conseguenza Searle sarebbe miope, perché non guarderebbe al sistema: a sapere il cinese è l’intero sistema (formato tanto dalla persona quanto dal libro delle regole)!

Fonti:

  • Pubblicazioni tradotte in Italia di J. Searle (Raffaello Cortina Editore) – link
  • Treccani (voce “John Searle”) – link

Crediti immagini:

  • immagine di copertina (link)
  • immagine interna 1 (link)
  • immagine interna 2 (link)

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