La monarchia dei corpuscoli

 

Non è difficile comprendere la struttura sociale dei corpuscoli, specie in relazione alla loro naturale propensione a concentrarsi laddove il lavoro non manca: i piedi, il pube, il petto, la testa. Estremamente socievoli, i corpuscoli sono instancabili lavoratori, sia che si trovino nella vasta area delle tre P, sia che si trovino nella misteriosa e inarrivabile testa.

La struttura sociale dei corpuscoli è relativamente semplice, ognuno deve cooperare per il bene superiore e tutti sono a conoscenza di un tale superiore bene, dunque ogni singolo corpuscolo svolge diligentemente la propria mansione. La struttura sociale, dicevamo: alla base stanno i corpuscoli che risiedono nella regione dei Piedi, sono la comunità più numerosa e quella più dedita alle faccende pratiche; poco più su troviamo i corpuscoli che si sono stabiliti nella Foresta pubica e all’ombra delle sue fronde regolano le pratiche amministrative (sia pubbliche, sia private); nel vasto e luminoso pian del Petto i corpuscoli più altolocati manovrano le ricchezze della società, osservando strettamente le leggi calate dall’alto; in cima, infatti, l’inaccessibile regione della Testa è occupata dal corpuscolo sovrano e dalla sua schiera di fedelissimi consiglieri. Qui si decidono le sorti di tutto l’organismo sociale.

Molto semplice, è vero, solida e affidabile tanto che la gerarchia corpuscolare venne ratificata nel primo anno della monarchia e fu resa da subito intoccabile a qualsiasi monarca futuro. Nei libri di storia per le scuole la gerarchia è rappresentata come segue:

T

Pe Pe

PPPu

Pi   Pi   Pi   Pi

Certo, a scuola ci vanno solamente i figli della regione pettorale. D’altronde il determinismo sociale è legge vigente e i giovani abitanti della zona pelvica (come viene anche denominata la Foresta del Pube) non hanno bisogno di imparare le dinamiche di gestione delle ricchezze e il management di attività imprenditoriali; raccoglieranno l’eredità dei loro genitori, un lavoro di routine che permetta loro di vivere dignitosamente da esseri corpuscolari. Gli occupanti della fascia più bassa svolgono una funzione fondamentale per la società, permettono l’esistenza della stessa, guidano i mezzi di trasporto, cuciono i vestiti di pelle pregiata destinati al lusso dei cortigiani, cucinano, aggiustano, consegnano, costruiscono: sono il motore pulsante di una macchina domata dalla cultura.

I corpuscoli pubici, oltre alla mansione amministrativa, sono addetti al ruolo di intermediari tra l’impulso barbaro e animalesco degli incolti e la raffinatezza di chi sta più in alto, di volta in volta, alle richieste del volgo, si rizzano in piedi a protestare contro l’invincibile razionalità dei governanti, ma più spesso soggiacciono alle decisioni del vertice e si afflosciano, spampanando l’entusiasmo revanscista che nasce dal basso. Nella regione pettorale vengono anche addestrati i corpuscoli addetti al mantenimento dell’ordine e armati degli strumenti repressivi per impedire sommovimenti troppo accesi; da qui viene diretto il flusso vitale della società, viene scandito il ritmo sincopato sul quale è costruito il valzer della vita. La Testa è semplicemente la Testa, perno imprescindibile della società.

C’è però il sentimento che ognuno sia mosso da fili calati dall’alto, fili sempre più sottili che arrivati in cima, impossibilitati a salire ulteriormente, sono invisibili ragnatele sottese al trascendente. Perfino il corpuscolo sovrano agisce in nome dell’Altissima Epidermide, egli è l’Epidermide stessa: pervasiva, onnipresente, l’idea che agisce nella sua manifestazione, si palesa nella sua assenza.

Molto semplice per una società dalle dinamiche così complesse, è vero, ma solo per chi osserva da fuori. Ogni regione è pressoché isolata dalle altre, non deve esserci contatto, contaminazione, influenza, collaborazione; determinismo sì, ma non solo. A pochissimi è permesso un seppur minimo contatto con gli altri territori e solo in via eccezionale per determinate necessità legate al buon funzionamento della società.

Era il regno di Ugo I il capellone al tempo della Marcia dei centomila passi. Leggenda vuole che la regione dei Piedi disti esattamente centomila passi dall’Altissima Testa, ma ciò che resta della storia, ben lungi dalla realtà, se ne frega di quanti passi qualcuno possa aver compiuto per giungere qui, oggi. L’irresistibile attrazione verso le cifre su cui calibrare i propri ideali – centomila, i miei possono valere centomila! – non poteva che portare a idealizzare una cifra tanto impressionante quanto insulsa. Poi, certo, sarebbe troppo sconvolgente per un corpuscolo ammettere che la realtà si allontani dal normale più di quanto possa farlo un’invenzione. Per diritto di cronaca riferiremo che quella cifra è errata: il mondo corpuscolare è molto più vasto specie se considerato nella sua lunghezza. Tuttavia era il regno di Ugo il capellone ormai da undici anni e da ventidue era nato il corpuscolo Carlo, uno tra i tanti che attendevano a un lavoro umile e si alimentavano nel fuoco della speranza con la legna delle illusioni. Il sovrano era in procinto di provvedere all’ennesimo aumento del prelievo di globuli – come è ben noto, al tempo la valuta di scambio veniva ricavata dai giacimenti di eritrociti, detti più comunemente “globulari”, da cui “globuli”, che venivano estratti nella regione posteriore dei Piedi, laddove il terreno, più morbido e lavorabile, si prestava bene a scavi in profondità –, un prelievo che, a detta delle voci più altolocate, sarebbe andato ad alimentare il piano di miglioramento delle condizioni di vita delle classi più basse e il progetto per costruire una scuola nelle regioni che ne erano sprovviste. Le intenzioni di Re Ugo erano le migliori che ci si potesse aspettare da un monarca, ma d’altronde gli scandali scoppiati all’interno del suo seguito di consiglieri erano stati risolti e liquidati talmente in fretta da sembrare una sinistra serie di insabbiamenti. La sensazione che aleggiava negli ambienti più poveri era quella dell’ennesima fregatura, si sentiva l’olezzo della truffa persino in aperta campagna, a distanze siderali. Certo è semplice per i poveri bifolchi confondere il lezzo del concime con quello dell’imbroglio, fatto sta che Carlo, a capo del circolino che si riuniva tutti i giorni dopo il lavoro, si ritrovò a tenere un comizio incentrato su questo aumento del prelievo globulare. Dopo una fervida ora e mezza di monologo dalla cima di uno sgabello, forse perché incitato dal piccolo capannello urlante, forse perché il colore acceso dei pochi globuli che aveva nelle tasche lo aizzava a un sentimento venale e sanguinario, proclamò l’inizio di una rivolta e scese dallo sgabello per capeggiarla come un grosso toro inferocito. Appena arrivati al confine della regione dei Piedi, i pochi adepti che avevano seguito Carlo nella marcia erano diventati quasi mille (verrebbero da citare i versi di un famoso poeta: spesso erra il giudizio corpuscolare / all’ideologia si aggrappa l’ideale). Attraversando la foresta alcuni corpuscoli pubici appoggiarono la rivolta e si unirono al seguito di Carlo, ma la gran maggioranza, stanchi dell’ennesimo tentativo sovversivo di ribaltare il potere regio, rimasero sordi alle grida di eccitazione che la schiera in marcia spargeva per ogni sentiero.

Pochi giorni dopo il manipolo aveva attraversato la Valle del Ventre senza incontrare alcuna resistenza, ma le forze armate, adunate dalle migliori caserme e capeggiate da un fedelissimo del sovrano, avevano preparato una invalicabile linea difensiva al confine tra il deserto addominale e il Pian del Petto. Il deserto non era tanto vasto da impedire ai rivoluzionari di scorgere la fortificazione all’orizzonte; sulle prime si intimidirono, non tanto per l’affievolimento della carica iniziale, più per il timore che la divisa e la rigida organizzazione delle truppe regolari evocava all’occhio. Tuttavia Carlo riuscì a mantenere motivati i suoi uomini, riorganizzò le linee e si accinse ad attraversare il deserto con calma, per non provocare reazioni precoci e incontrollabili nell’uno o nell’altro schieramento. A qualche centinaia di passi dall’esercito Carlo fece arrestare i suoi. Chiamò a sé il corpuscolo che reggeva il vessillo della regione dei Piedi (eretto seduta stante prima della partenza della marcia) e assieme a lui si avviò per trattare le condizioni con l’ufficiale in comando. Cadde, colpito da un proiettile vagante partito per sbaglio, dissero le fonti ufficiali: morì sul colpo. Poco dopo, mentre tra le file rivoluzionarie si sollevava a scroscio un mormorio perplesso, fu colpito anche il gonfaloniere che stramazzò a terra. Poi fu il caos. Le linee si ruppero: tra chi si scagliò alla cieca contro i fucili spianati e chi se la diede a gambe levate contro il deserto, l’esercito regolare rimase compatto a prendere la mira. Non fu tanto una marcia, quanto una strage: la Strage dei mille.

Nei mesi seguenti fu attuato il prelievo di globuli, furono costruite tre scuole nella Foresta del Pube e due nella terra dei Piedi; le condizioni dei corpuscoli più indigenti migliorarono e, grazie alla scoperta di due enormi giacimenti di eritrociti, la circolazione globulare raggiunse livelli fino ad allora mai raggiunti, dando nuova vita all’attività economica della società corpuscolare.

«Io avrei finito Altissimo» bofonchiò Lucio, professore emerito della cattedra di società corpuscolare del regno.

Ugo IV mostrò i denti in un caldo sorriso, mentre Lucio lo guardava impaziente con gli occhi sgranati.

«Ottima relazione Lucio, davvero ottima! Domani potrai presentarla al congresso per il centocinquantesimo anniversario della Marcia dei centomila passi».

Lucio tirò un piccolo sospiro, abbassò lo sguardo e chiuse le palpebre. Ugo lasciò cadere il sorriso, spostò lo sguardo sul comandante delle forze dell’ordine che stava seduto in prima fila, alle spalle del professore, e si porto l’unghia del pollice al collo, disegnando lentamente un grosso sorriso.

A cura di Davide Paone

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