L’ENTRATA DI CRISTO A BRUXELLES – Amèlie Nothòmb

 

Avevo già avuto modo di fare la conoscenza della signora Amèlie  Nothòmb quando, in una notte afosa, dunque insonne, mi ero accostata e subito innamorata del suo “Acido Solforico”.
Dal nostro “rendez-vous” passò quasi un anno, sino a che non ci rincontrammo un’insospettabile domenica, avvolta dalla tipica foschia dicembrina, una di quelle giornate nelle quali le persone vivono prive della loro ombra..
Una bancarella di libri usati, maltrattati, petulanti o ammuffiti. Lei era lì: un libro dalla forma stranamente rettangolare, la copertina rigida e colorata, ammiccante inquietudine.
Il libro che andrò di seguito a recensire è proprio quello che trovai abbandonato al mercato e che portai a vivere con me.
Non si tratta di un romanzo vero e proprio: edito dalla casa editrice Voland, nel 2008, il libro è una raccolta di due sole novelle dell’autrice.
In questi due racconti si concentrano tutte le doti più grandi della Nothòmb: è ironica, leggera, beffarda ed inquietante.
L’entrata di Cristo a Bruxelles tratta di un ragazzo introverso ma estremamente affascinante, Salvador, che compie un crimine efferato e brutale mentre è ospite da un parente, in campagna. L’amore con la fragile Zoe lo trascinerà verso una sinusoide di riflessioni, paure, tormenti, per poi arrivare alla detonazione finale: la scoperta più orrenda e disvelatrice tra tutte.
Senza Nome invece, racconta la vicenda di un giovane, partito dalla sua patria natia per scoprire e riscoprirsi, che si ritrova perso tra le grande nevi del Nord.
Salvato da un gruppo di soli uomini e poi accolto nella loro bizzarra casa abitata, entrerà in contatto con forze ed ossessioni che vanno oltre lo scibile umano.
La scrittura della Nothòmb è pulita e frizzante, potente, come potente è la sua fantasia, forza creatrice che regna in tutti i racconti. L’autrice non lascia tregua al lettore: è capace di mantenerlo quasi senza respiro sino alla fine della novella, per poi lasciarlo attonito, la bocca semiaperta, lo sguardo inebetito. Nonostante lo stile chiaro, Amèlie è maestra nell’inserire particolari virtuosismi, propri solo di uno scrittore molto abile.
Tutti i personaggi sono caratterizzati con pochi, unici tratti disvelatori: i protagonisti finiscono con il delinearsi vividamente nell’immaginazione del lettore, facendosi amare, odiare, seguire.
La Nothòmb ha uno stile denso d’immagini quasi fisiche e metafore che elevano la scrittura ad un grado superiore. Il tempo di narrazione è perfettamente dosato, senza né anticipi né ritardi.
I finali di ambo i racconti sono spettacolari: misurati, ineluttabili e forti. Perfetti.
La parola che userei per definire questi racconti è: crudeli.

 

credits

Eleonora Casale

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