Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lolita, la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta.
Questo l’incipit di Lolita di Nabokov. La storia? Un uomo di quarant’anni, insegnante di letteratura francese, che si innamora di una bambina di dodici e che, dopo la morte della madre della ragazza diventa ufficialmente il suo patrigno, praticamente il suo amante.
Queste le premesse. Qualche lettore sarà già indignato, altri avranno cominciato a fare i conti con la propria morale, altri ancora saranno incuriositi. Niente giri di parole, comunque: la storia di un pedofilo, la storia di un uomo adulto innamorato di una bambina. Ma è amore, quello che prova Humbert Humbert nei confronti di Lolita?
Difficile scrivere di questo romanzo. Un po’ per l’argomento – motivo di scandalo, non è difficile immaginarlo, già nel periodo in cui è uscita l’opera –, un po’ per la prosa, talmente bella e ben costruita da rendere insulso qualsiasi tentativo di analisi e un poco anche per un legame affettivo che impedisce a chi sta scrivendo questo articolo di essere completamente obiettivo rispetto al romanzo.
Lolita parla di una cosa brutta in modo indiscutibilmente bello, e questo risulta fuorviante, oltre che irritante. Può una prosa meravigliosa nobilitare un sentimento così infimo come l’amore di un uomo adulto nei confronti di una bambina?
Può. Il termine nobilitare è senz’altro di parte, lasciamolo perdere. Non volendo incorrere nell’immoralità, ci limiteremo a dire che questo romanzo è la prova lampante della grande forza manipolatrice dell’ars scribendi. O della capacità di rigirarsi la frittata, se preferite: il lettore viene girato, rivoltato, fatto saltare in aria, fatto friggere nell’olio bollente finché, esausto e con la nausea, non si rassegna e accetta il suo status di frittata, cucinata con amore, ma anche con un pizzico di malizia, dall’autore. Un paragone calzante.
Trecentoottantatré pagine – nella versione italiana – di pura poesia, Lolita. Il modo in cui Humbert le parla, il modo in cui si comporta, quello che le dice, non è forse quello che qualunque donna vorrebbe sentirsi dire? Primo problema, per un lettore coscienzioso e che ha ben chiaro il senso di ciò che è giusto e ciò che non lo è. Bene, un consiglio per leggere l’opera da parte di chi, nel bene e nel male, ne è rimasto inesorabilmente affascinato e, forse, l’ha anche subita, è quello di lasciar perdere la morale.
Cioè: la pedofilia è un’orribile inclinazione che si insinua nella mente di persone molto malate, non ci sono dubbi. E poi c’è Lolita, che è un’altra cosa. È la storia di un amore viscerale, totalizzante, di un uomo nei confronti di una bambina che, naturalmente, non può ricambiarlo allo stesso modo. Un amore disperato, quello di Humbert Humbert, pieno di ombre.
E Lolita? Una bambina innocente vittima della violenza di un uomo adulto? Ecco, non proprio. Nessun tentativo di giustificare il protagonista, davvero, ma nel romanzo la violenza è ben mascherata: Lolita è consapevole di quello che sta facendo. E anzi, all’inizio è proprio lei a incoraggiare gli impulsi di Humbert. Una bambina incredibilmente precoce, con un rapporto malsano e sbagliato nei confronti del sesso. Ma non è neanche questo, il tema dell’opera. L’erotismo è velato, quasi insignificante, non è l’unione sessuale che interessa a Humbert:
[…] il tema del cosiddetto “sesso” non mi interessa affatto. Chiunque può immaginare quegli elementi di pura animalità. Ciò che mi alletta e un’ambizione superiore: fissare una volta per tutte il periglioso sortilegio delle ninfette.
Primo. Una pedofilia sui generis, quella del nostro protagonista. Ma di questo parleremo più avanti. Secondo, le ninfette. Ancora una volta, vale la pena di ricorrere all’opera per spiegare questo concetto:
Accade a volte che talune fanciulle, comprese tra i confini dei nove e i quattordici anni, rivelino a certi ammaliati viaggiatori – i quali hanno due volte, o molte volte, la propria età – la propria vera natura (e cioè demoniaca); e intendo designare queste elette creature con il nome di “ninfette”.
Un’indole demoniaca, quindi, dei micidiali diavoletti, inconsapevoli del loro potere. Non belle ma affascinanti, magnetiche, maliziose, di cui gli ammaliati viaggiatori sono inevitabilmente delle vittime – e anche qui non parliamo di uomini comuni: Nabokov li definisce pazzi, artisti, dotati di infinità malinconia anche se, evitando eufemismi, si potrebbe semplicemente parlare di pedofili. Ma è questo il punto. Nessuno parla mai di pedofilia: parliamo di persone creative, dotate di un forte sentire, che sviluppano e subiscono un’attrazione nei confronti di questi esseri demoniaci. Il totale rovesciamento di qualsiasi morale. Per questo è meglio mettere da parte la propria etica e lasciarsi guidare dall’autore che, per la prosa e per come ha deciso di impostare la sua opera, riesce a fare del lettore tutto ciò che vuole.
Ma tornando a Humbert: una pedofilia sui generis, abbiamo detto. Terribile parlarne in questi termini, un atteggiamento del genere andrebbe condannato e liquidato in poche parole, ma il romanzo lo rende davvero impossibile. Humbert Humbert ama Lolita. In modo malato, ossessivo, malsano, ma anche totalizzante, doloroso, dilaniante. E qualsiasi lettore converrà che, non sapendo che è indirizzata a una bambina di dodici anni, la descrizione di questo amore potrebbe essere utilizzata per riferirsi a qualsiasi donna adulta, senza cambiare un aggettivo.
Ci vuole una buona dose di cinismo, per leggere Lolita. O di immoralità, mancanza di senso etico, forse un pizzico di emotività. Oppure basta innamorarsene, come è successo a chi sta scrivendo questo articolo, per dimenticarsi di tutti quei valori che ognuno di noi pensa di avere acquisito nel corso degli anni, pensa di avere ben saldi nella propria anima oltre che nella propria testa, e rimanere commossi da un’opera che, al di là di tutto il resto, alla fine, parla solamente ed esclusivamente di Amore.
Non parleremo del binomio vittima-carnefice, quindi. Non in questo articolo. Forse per mancanza di coraggio, di lucidità, forse per vigliaccheria, forse perché chi si affeziona a un’opera non dovrebbe scriverne, pena il rischio di subirla. Ma comunque, proveremo a sostenere la nostra debolissima tesi, e cioè che Lolita e Humbert siano entrambi vittime. Lolita è vittima di un uomo adulto che approfitta di lei facendola crescere troppo presto e facendole vivere una vita sconclusionata, claustrofobica, impossibile. E Humbert è vittima dell’amore, di un amore malato, sbagliato, pericoloso, doloroso da cui non riesce a liberarsi, neanche quando Lolita lo abbandona:
[…] e lei era lì, con la sua bellezza distrutta, le mani strette e le vene in rilievo, da adulta, e le braccia bianche con la pelle d’oca, e le orecchie appena concave, era lì (la mia Lolita!), irrimediabilmente logora a diciassette anni e la guardai, la guardai e seppi con chiarezza, come so di dover morire, che l’amavo più di qualunque cosa avessi mai visto o immaginato sulla terra.
Leggete, davvero, leggete Lolita. È un appello disperato, il nostro. Leggetelo con giudizio, odiatelo, siatene affascinati e disgustati, criticatelo, banalizzatelo, fatevi un esame di coscienza, cercate di tenere a mente ciò che è giusto e ciò che non lo è e poi iniziate con la prima pagina. Succederà che, un attimo dopo, i vostri valori verranno scardinati, capovolti e, per un attimo, non capirete più da che parte stare. Ma finito il libro l’incantesimo sparirà e avrete di nuovo contezza di cosa è giusto condannare, sarà come uscire da un torpore e rendersi conto, effettivamente, qual è l’argomento del romanzo. E ve la prenderete con voi stessi per aver giustificato, anche solo per un attimo, un atteggiamento che pensavate di aver inserito già da tempo nella lista nera del vostro cervello. Ma questo avverrà più avanti, durante la lettura sarete incapaci di qualsiasi esame obiettivo, totalmente rapiti da un’opera così bella e da un amore così forte. In effetti, il nostro è un appello anche un po’ invidioso di chi ancora non ha avuto il piacere di sfogliare le pagine di questo libro, di affrontare un viaggio nella terra dell’immoralità, del Piacere privo di qualsiasi filtro, che va al di là della fisicità, entra nell’anima di chi legge e di chi scrive rendendo, questa volta sì, il lettore vittima, l’autore carnefice.
“Potete sempre contare su un assassino per una prosa ornata”, e questo è il vero problema.
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