La conta dei morti

Lo diceva già Gaber nel 1980, i giornalisti sono necrofili, si buttano sul disastro umano, e allora viene da chiedersi come essere da meno ora che si è qui a giocare a scrivere articoli. La conta dei morti parte da qui. Necrofilia portami via, come direbbe senza dubbio Alice Cooper.

Ora, se si deve pensare al suicidio in musica, potremmo banalmente soffermarci su tutti quegli artisti che si sono tolti la vita nei modi più disparati, uno su tutti Kurt Cobain, forse per sottostare a quella legge non scritta che dice che è l’artista a soffrire più degli altri. E invece no. Perché se chicchessia suicidandosi elimina solo se stesso in qualità di insulso esserino umano, è molto più interessante soffermarci, da necrofili quali siamo appunto, a godere di quegli artisti che hanno usato, loro malgrado, le proprie canzoni per estirpare vite. Seguendo il solito refrain della serie “mio figlio ti ascoltava quando s’è suicidato, ergo è colpa tua”, per intenderci, quale sarà l’artista più “prolifico” in questo senso?

Per tutte le persone rimaste vittime della musica, questa è la vostra conta dei morti.

SUICIDE SOLUTION

Il 19 febbraio del 1980 in Overhill Road, a Dulwich, sud di Londra, c’era una Renault 5 parcheggiata e un uomo sdraiato sul sedile posteriore. Il suo nome era Bon Scott, passato alla storia per essere stato primo carismatico vocalist degli australiani AC/DC, sostituito poi da Brian Johnson. I detrattori lo ricordano invece per essere soffocato nel proprio vomito, affermazione non propriamente corretta, essendo egli morto in circostanze misteriose, abbandonato nella suddetta Renault, senza che ci sia mai stato un accertamento riguardo a un effettivo avvelenamento da alcool. Di certo non era un tipo calmino e, la sera precedente alla propria morte, Bon non aveva lesinato su alcool e droghe varie.
Per onorare il collega defunto, Ozzy Osbourne pubblicò una canzone inserita all’interno dell’album che ha dato il via alla sua esimia carriera solista, la pietra miliare Blizzard of Ozz (1980).

La canzone in esame è la quinta traccia, Suicide Solution, in cui si discute la lenta autodistruzione a cui porta l’alcool, tema per altro piuttosto vicino a Ozzy stesso, rimasto rinchiuso in una stanza d’albergo per quasi un anno a intossicarsi di ogni ben di dio, colto da psicosi maniaco-depressive dopo essere stato cacciato dai Black Sabbath nel 1977.

Arriviamo ora al dunque. Nell’ottobre 1984 il diciannovenne americano John McCollum sta ascoltando Blizzard of Ozz, tira su una pistola e si spara in testa. Tralasciando ora in quale modo il giovane si sia procurato l’arma (in fondo stiamo parlando di USA, i fucili li vendono dal droghiere), i genitori McCollum non hanno niente di meglio da fare che citare il signor Osbourne in giudizio in qualità di colpevole del suicidio del figlioletto.

L’accusa afferma infatti che la canzone Suicide Solution:

  • Fin dal titolo, istiga subdolamente al suicidio come soluzione dei propri problemi;
  • Contiene dei messaggi subliminali (a 2:19), parzialmente coperti dalle prime note dell’assolo, che direbbero “Get the gun, shoot shoot!

La difesa, d’altra parte fa notare che:

  • Per gli autori del testo (O. Osbourne e B. Daisley) il termine “solution” ha il significato di “sostanza”, “liquido”, nella fattispecie l’alcool;
  • Le lyrics, nascoste appunto dall’assolo, sono in realtà “Get the flaps out, bodge bodge bodge!

Nel 1992, la Corte Suprema assolve in piena formula Ozzy Osbourne e collaboratori ristabilendo il sacrosanto principio secondo cui, fin dai tempi del giovane Werther, l’atto del suicidio è una scelta personale e l’ascolto di una musica non può considerarsi un lavaggio del cervello. Il cantante commentò al riguardo:

Listen, it’d be a pretty bad career move for me to write a song saying ‘Grab a gun and kill yourself’. I wouldn’t have many fans left!

BETTER BY YOU, BETTER THAN ME

Un episodio analogo accadde ai Judas Priest a causa della canzone, cover degli Spooky Tooth, Better by You, Better than Me contenuta nell’album Stained Class. Il brano venne tacciato di contenere il messaggio “Do It!” se suonato al contrario.

Sarebbe questa la ragione che spinse Raymond Belknap, 18 anni, e James Vance, 20 a farla finita sparandosi con un fucile. Tuttavia, mentre il primo riuscì nel proprio intento, il secondo si ridusse soltanto in fin di vita, deturpandosi irrimediabilmente il volto e morendo solo tre anni dopo di complicazioni a seguito dell’incidente stesso, in particolare a causa dei gravi danni riportati al cervello. In quel breve tempo in cui il giovane sopravvisse con la faccia spappolata fu in grado di affermare:

Io credo che l’alcol e la musica heavy metal, come i Judas Priest, ci hanno condotto o almeno ci hanno illuso nel farci credere che la risposta alla vita fosse la morte.

Parole, è bene ricordarlo, pronunciate da un ragazzo con il cervello ridotto in poltiglia, nelle quali si scorge il seme di una evidente manipolazione, di certo non a opera della band di K. Downing.

In ogni caso anche in questo caso gli accusati vennero scagionati e i genitori inquisitori, bravi a responsabilizzare tutti tranne se stessi, messi a tacere. Il processo ebbe però delle forti ripercussioni sulla carriera dei Judas Priest, i quali furono obbligati a ritardare la pubblicazione del loro nuovo album, diventato poi un autentico manifesto dell’heavy metal: Painkiller. Inoltre le voci vogliono che lo stress della causa legale sia il motivo della lunga pausa del vocalist Rob Halford, che lasciò il gruppo dal 1992 al 2003. Si dice che il cantante fu talmente afflitto dalla morte dei due ragazzi da non essere in grado di continuare la propria carriera con i Judas.

GLOOMY SUNDAY

Se il mondo del rock/metal è pieno di episodi violenti, musicisti suicidi, musicisti omicidi, band che suonano “suicidal black metal” e parlano solo di suicidio, ragazzi che si ammazzano, ragazzi che ammazzano (celebre l’episodio della Columbine, per il quale vennero perseguiti Marilyn Manson e i Rammstein), dai miei modesti archivi la canzone più pericolosa sul tema pare essere un vecchio brano ungherese del 1933 di Laszlo Javor e Rezso Seress intitolato Szomorù Vasàrnap (Gloomy Sunday in inglese), cioè “Domenica Cupa”.

La canzone è stata un grande successo dell’epoca, reinterpretata poi numerose volte (Billy Holiday, Björk), ed è contornata da un alone di tetro mistero. Pare infatti che vari personaggi implicati con essa, tra cui gli stessi autori e la donna a cui è dedicata, si siano suicidati. In più sono documentati, ma si ha il forte sospetto che i dati siano falsati, episodi di ungheresi gettatisi nel Danubio dopo aver sentito la canzone e addirittura con lo spartito in mano.

Cercando di epurare la vicenda dalle affermazioni sensazionalistiche, tralasciando dunque le centinaia di suicidi che vengono attribuiti a Gloomy Sunday a caso in giro per il mondo, le morti direttamente causate dalla densa, quasi stucchevole, malinconia del brano sembrano essere diciannove.

Ozzy uno, i Judas Priest due, Laszlo e Rezso diciannove: i risultati si commentano da sé. Non c’è storia, il Metal ne esce sconfitto, musica da veri perdenti rispetto alle brutali ballate degli anni ’30.


Fonti

Wikipedia

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