Le notti bianche

La classica storia che si ripete: lui ama lei, lei ama l’altro. Facciamo ordine e diamo dei nomi a questi pronomi.
Lui, il protagonista, che si definisce un sognatore.

Sentirete che in tali angoli vivono delle strane persone: i sognatori. Il sognatore, se proprio occorre darne una definizione precisa, non è un uomo ma, sapete, una sorta di genere neutro. Egli prende dimora per lo più in qualche angolo inaccessibile, come se volesse nascondersi in esso persino alla luce del giorno, e se si ritira in casa sua mette le radici nel suo angolo come una lumaca, oppure per lo meno è assai simile a quel curioso animale che è nello stesso tempo un animale e una casa insieme, e che si chiama tartaruga.

Ecco cosa mette Dostoevskij sotto la voce “sognatore” del suo personalissimo vocabolario. Niente viaggi in paesi lontani, niente albe, tramonti, niente curiosità per le esperienze particolari, niente droghe, niente di tutto questo. Solo una strana creatura che si nasconde e che, pur di non sentirsi persa, si trascina ovunque la propria casa come ancora di salvezza, proprio come una tartaruga. Eppure questo non gli basta. Il nostro protagonista, infatti, non si accontenta della propria casa, anzi costruisce storie a partire dalle case degli altri, dà loro dei nomi, le rende umane, si affeziona, ci gioca, si stupisce quando vengono ristrutturate e si dispera se vengono rovinate.
Un uomo che vaga per le strade di San Pietroburgo in cerca di emozioni, di felicità, di spunti, di ispirazioni. Un uomo con la testa piena di pensieri, di storie, di sogni, di idee. Un uomo con una vita monotona, triste, resa dignitosa unicamente dai sogni, dall’immaginazione. Un sognatore, appunto. Volutamente inconsapevole della sua situazione di solitudine, così tanto inconsapevole da temerla più di qualsiasi altra cosa al mondo. Al punto che la storia si apre con il nostro uomo disperato perché convinto che tutti i suoi conoscenti lo stiano abbandonando per andare in Dacia.
E intanto, lui vaga. Attraversa San Pietroburgo, gode della sua bellezza, delle sue luci, degli angoli più nascosti, ma proprio quando sembra che non sia più in grado di sopportare tutto quel meraviglioso spettacolo da solo, ecco che subentra lei. Lei che ama l’altro. Nasten’ka. Nasten’ka con un “cappellino giallo assai grazioso e una mantellina nera”. Nasten’ka con le guance pallide, Nasten’ka con uno sguardo furtivo, il volto arrossato, Nasten’ka in lacrime. Una fanciulla timida, dolce, innocua, un animo buono e uno sguardo dolce. Ecco che il lettore intravede una luce in fondo al tunnel, la salvatrice del nostro sognatore, la splendida creatura che lo tirerà fuori dal suo torpore, l’unica in grado di comprendere i suoi pensieri, l’unico essere sulla terra con cui il protagonista potrà finalmente condividere il suo forte sentire.
Ma forse è proprio il forte sentire, degno di un sognatore, che, nonostante affascini Nasten’ka, fa sì che lei si fermi un attimo prima. Un attimo prima di buttarsi, di innamorarsi del protagonista, di condividere con lui tutto, ogni cosa. È evidente dalle pagine del romanzo che lui sia più avanti di lei, e la prova è l’esistenza dell’altro. Ma di questo ci occuperemo tra un attimo.
Intanto, il forte sentire. Al sognatore basta che Nasten’ka si dimostri disponibile ad ascoltarlo per lasciar andare il suo flusso di parole, come se avesse trattenuto nella sua mente pensieri, idee, immagini per troppo tempo, e adesso si sentisse costretto a condividerle con qualcuno. E nonostante il protagonista dimostri di amare davvero Nasten’ka e di essere disposto a fare qualsiasi cosa per lei, compreso aiutarla a conquistare l’uomo di cui è innamorata, nelle sue parole non c’è traccia di lei.

Insomma, il protagonista, il sognatore, come vogliamo chiamarlo, appare narcisista. E questo ci dispiace, perché tutti i lettori converranno che leggendo quest’opera venga quasi naturale fare il tifo per lui, sperare che prima o poi il suo amore venga ricambiato, che Nasten’ka metta da parte l’altro e si decida a buttarsi tra le braccia del protagonista. Ma quello che un lettore, forse disattento, ha percepito è che mettere da parte l’altro e vivere la propria storia d’amore con il sognatore sarebbe, per Nasten’ka, come mettere da parte se stessa.

Perché nei sogni – di un sognatore di quel sognatore? Di qualsiasi sognatore? –, non c’è spazio per nessun altro. Le prove sono fornite dall’autore stesso, speriamo in cuor nostro che tutto questo sia voluto, che non sia frutto della fantasia di un lettore ingrato, incapace di leggere un romanzo e troppo critico nei confronti di una così bella opera, ma in ogni caso ci è parso opportuno riportare quanto Dostoevskij stesso racconta. Dopo che il protagonista ha svuotato la sua testa da qualsiasi pensiero, l’ha pronunciato ad alta voce e ha confuso, affascinato, intrigato Nasten’ka, è il turno di lei, deve raccontare la sua storia. Ma non ci riesce, perché il sognatore la interrompe, non la fa parlare, come se qualche immagine fosse rimasta incastrata nel cervello del protagonista e lui senta l’esigenza di tirare fuori anche quella, come se non riuscisse a trattenersi, come se fosse più forte di lui. E così, Nasten’ka deve riprenderlo: “Tacete e state ad ascoltare. Anzitutto un patto: non mi interrompete, altrimenti, forse, perderei il filo. Ascoltate dunque buono buono”.
Davvero non vorremmo, davvero nessuno vorrebbe interrompere un così bel flusso di pensieri come può essere quello prodotto dalla mente di un sognatore, ma Nasten’ka che posto può avere nella sua storia? Può accettare di essere un’altra esperienza da raccontare, un’altra ispirazione, di sacrificare la propria persona per un’altra, più bella, intelligente, sensibile e capace di lei?

Cara Nasten’ka, so di saper raccontare in maniera stupenda, ma, scusatemi, non so farlo in altra maniera. Ora, mia cara Nasten’ka, io assomiglio allo spirito del re Salomone che è rimasto rinchiuso per mille anni in un’anfora con sette sigilli. Ora, mia cara Nasten’ka, dopo che ci siamo incontrati di nuovo dopo un così lungo distacco – perché, infatti, io vi conosco già da molto tempo –, ora nella mia testa si sono aperte migliaia di valvole e io devo riversar fuori migliaia di parole, altrimenti soffocherò.

Come si può non amare una persona così? Cosa può aver spinto Nasten’ka a limitare la propria ammirazione nei confronti di un sognatore a un fascino provato da lontano e con distacco, cosa può averla spinta a non innamorarsi di lui? L’unica risposta che troviamo, qui, è che il flusso dei pensieri del protagonista abbia surclassato, superato, inondato quello della fanciulla di fronte a lui, che l’abbia quasi spaventata, che lei non si sia sentita all’altezza, che si sia resa conto che i sognatori hanno solo bisogno di un uditorio, e soprattutto che, in una vita con lui, non ci sarebbe stato spazio per i pensieri di lei. Troppa sensibilità, troppo ardore, troppe idee per unirle a quelle di un’altra persona. E poi, deve aver pensato Nasten’ka, cosa cerca un sognatore? Chi gli dia emozioni o unicamente le emozioni? Sono le emozioni che cerca un sognatore, le emozioni che possono dare delle belle case, un bel panorama, una bella donna. E quando avrà captato tutte le emozioni che io sono in grado di dare, cercherà altrove. Questo deve aver pensato Nasten’ka.
E infatti, Nasten’ka ha scelto l’altro. Un uomo a cui la nonna da lei tanto amata ma anche tanto temuta e che le impediva di uscire di casa, aveva affittato una stanza nella loro casa, un uomo di cui Nasten’ka si era innamorata e che stava ancora aspettando.

C’è un lieto fine in questa storia, o almeno c’è per Nasten’ka. Lei e l’altro si ritrovano e scoprono di essere ancora innamorati. Per il sognatore, invece, sarebbe difficile immaginare un finale più triste: niente litigi, niente astio, niente sofferenza da parte di Nasten’ka. Solo la speranza che possano continuare a frequentarsi, come amici, e che lui, il protagonista, vada a trovare la coppia di innamorati nella loro casa. Un finale insulso, per un sognatore. Anche se, a ben guardare, forse quello che il protagonista voleva da Nasten’ka l’ha ottenuto: un attimo di felicità.
Un intero attimo di felicità! È forse poco, foss’anche esso il solo in tutta la vita di un uomo…?”.

Un libro piccolissimo e grandissimo, fittissimo di informazioni, viaggi, sogni, pensieri, parole, Le notti bianche. Un libro che dovrebbero leggere tutti, sognatori e non. Perché sfogliando le pagine ci si sente in un limbo, si parteggia per uno poi per l’altro, ci si fa delle domande riguardo a se stessi, riguardo al proprio modo di rivolgersi agli altri, riguardo alla propria capacità di parlare e di ascoltare.

Una punta di narcisismo negli atteggiamenti del sognatore, forse. O dei sognatori. Vero. Ma il lettore non può essere surclassato dalla grandezza di questa persona, non può temere che i propri pensieri non vengano ascoltati, il lettore ha un’arma in più rispetto a Nasten’ka, ossia il libro, la carta, che funge da filtro e che impedisce al sognatore di spaventare chi legge. E dunque, il lettore non può far altro che innamorarsi di questa figura, non può non ammirarla, da lontano, ben consapevole di essere in salvo. È facile, per i lettori, è molto più facile cadere nella trappola. Ed è molto più facile, per i lettori, ammettere che, in fondo, quella punta di narcisismo ci stia un gran bene.


Fonti

Wikipedia

Crediti

Copertina

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