Ecco l’ennesimo caso in cui una legge appena promulgata non rappresenta un progresso per la società, bensì un drastico regresso: il sultano del Brunei – un piccolissimo sultanato situato a nord del Borneo – ha promulgato già da tre anni il nuovo codice penale islamico basato sulla Sharia (la legge divina) che prevede anche la lapidazione in caso di adulterio, l’amputazione degli arti per i ladri e la flagellazione per il consumo di alcool.
“Con l’entrata in vigore di questa legge, adempiamo i nostri doveri verso Allah” ha detto il sultano, Hassanal Bolkiah.
Nulla di nuovo, verrebbe tristemente da dire, la lapidazione è usata fin dall’antichità per punire le prostitute, le adultere, gli apostati e gli omosessuali.
In passato la lapidazione avveniva in pubblico e anche i presenti potevano partecipare al lancio delle pietre. Ma perché quest’usanza così barbara? La finalità di tale pratica era l’espiazione pubblica del peccato e la formalizzazione del diritto alla vendetta (erano gli stessi accusatori a “scagliare la prima pietra”). Ultima finalità, ma non meno importante, era quello di dare un monito alla popolazione, a dissuadere le donne dal tradire il marito, e gli uomini dall’amare altri uomini.
La legge dovrebbe entrare gradualmente in vigore entro sei mesi. Il problema si pone lì dove la maggior parte degli abitanti del Brunei sono di religione islamica, ma ci sono anche delle minoranze buddiste e cristiane, che temono fortemente per la propria libertà.
Questa pena, che non faticheremo a definire barbara, purtroppo è ancora contemplata nella giurisdizione di alcuni stati a maggioranza islamica, come il Pakistan (in cui per fortuna non vi si riscontrano casi di lapidazione), l’Afghanistan, in Sudan, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti (che si contendono il triste primato del più alto tasso di casi di lapidazione, avvenuta anche senza una precedente sentenza). E ancora, in Somalia, in Nigeria e in Iran, dove fortunatamente è stata abolita appena un anno fa, nel 2012, e dove lo stesso codice, giusto per risparmiare un po’ di sofferenza all’accusato, prevedeva che il decesso non avvenisse a seguito di un colpo solo. Difatti la legge recitava:
Le pietre non devono essere così grandi da far morire il condannato al solo lancio di una o due di esse; esse inoltre non devono essere così piccole da non poter essere definite come pietre.
Ma attenzione, caso strano nel Corano non vi è alcun accenno alla lapidazione, anzi questa sembra non essere contemplata per nessuno dei casi sopraccitati; l’unica pena prevista è la fustigazione. Eppure, moltissimi stati islamici l’adottano nel proprio ordinamento giuridico sostenendo così di osservare le prescrizioni islamiche, e sono proprio le corti islamiche a farsi portavoce e interpreti della legge divina.
Verrebbe da chiedersi dunque se il motivo religioso non venga usato per l’ennesima volta come sedativo per le masse, come arma intimidatrice e, soprattutto, se ci sia ancora la speranza che le cose possano cambiare, un giorno o l’altro, se qualcuno ne avrà il coraggio.
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