di Serena Pirozzi
Colui che c’è ma non si vede e produce emozioni ed empatia attraverso il grande schermo.
Immaginate un luogo totalmente spoglio e impersonale, una specie di “enorme tac” nel quale dover recitare e interpretare un personaggio, senza il supporto dei costumi, della scenografia e talvolta dei compagni di scena….. solo l’interprete in un enorme stanza pronta a scansionare qualsiasi dettaglio dei movimenti del suo corpo.
È proprio questo che fanno gli attori cosiddetti digitali, recitano, si muovono fornendo energia vitale a un personaggio computerizzato. Questi attori, spesso non considerati tali, risvegliano una dimensione di pura finzione, devono immaginare cose e creature che non ci sono, risvegliando un po’ lo stile recitativo della tradizione stanislavskijana.
La performance e motion capture sono le tecniche di cattura delle espressioni facciali e dei movimenti corporei, che poi verranno applicati alla creatura digitale nella quale si vuole donare la vita. Motion e performance capture iniziano ad essere utilizzate nei lungometraggi di animazione a metà degli anni 2000.
La pellicola di Paul Verhoeven “Total Recall” (in Italia uscito con il titolo di “Atto di forza”) del 1990 è il primo prodotto cinematografico nel quale si tenta, con risultati fallimentari, l’impiego della motion capture. Mentre il primo film che adopera interamente tale tecnologia è realizzato in India ed è “Sinbad Beyond the Veil of Mists” di Evan Ricks del 2000. Il divo per eccellenza di questo nuovo genere di cinema è l’attore inglese Andy Serkis, nonché l’interprete di Gollum ne “Il Signore degli Anelli“.
Purtroppo non è per tutti ancora ben chiaro l’impegno della cyber-recitazione, in quanto il viso di Serkis non compare mai sulla pellicola ma egli è parte integrante di Gollum, dello scimpanzé Cesare, di King Kong non è solo voce, è la loro potenza fisica, il loro sguardo, la loro anima, la loro emozione. Questo per ribadire che la performance capture non sostituisce affatto la presenza degli interpreti, è uno strumento che registra una performance attoriale, non la migliora o la cambia. Recitare è sempre recitare, sia che si indossino maschere e costumi tradizionali, o stravaganti trucchi in perfetto stile Burton, sia che si indossi una tuta di lycra e dei sensori.