New York non conosceva una scena hip hop così densa dagli anni ’90, dagli anni di Biggie, il primo Nas, i Wu-Tang Clan e i Public Enemy, l’avvento del jazz-rap e l’ascesa di un ragazzo di Brooklyn fattosi imprenditore globale. Allora però la storia era diversa: la sperimentazione conviveva con la critica sociale, la ricercatezza lirica con la destrezza performativa, al livello qualitativo più alto che l’hip hop della costa Est abbia a oggi conosciuto. È sopraggiunto il primo decennio dei duemila, che ha visto le vecchie guardie bloccarsi in un circolo privo di originalità, pur godendo delle luci dei riflettori, mentre le vere gemme musicali erano relegate all’underground, costrette a scavare dal basso.
Piaceva il rap di 50 Cent. Che sterilità. La miniera newyorchese ha ricominciato a produrre pietre preziose solo da pochi anni, in particolare con la nascita ed emersione di due collettivi con l’obiettivo di rivitalizzare la scena della metropoli. Purtroppo, le nuove leve rimangono legate a degli stereotipi che si sono cristallizzati nella desolazione dello scorso decennio. Le opportunità creative che bollivano nell’underground sono state evitate, per ispirarsi invece a un rap incentrato sul tipico edonismo di strada (soldi, droga e donne, what else?), aggiungendo all’arte una mera produzione musicale dai toni allucinogeni e fumosi.
Queste caratteristiche sono subito riconducibili al collettivo di Harlem che ha incarnato il primo tentativo di innovazione: A$AP Mob, il cui (praticamente unico) punto di forza è il prodigioso membro A$AP Rocky. Siamo su livelli discreti, ma lontani dall’eccellenza conosciuta nei novanta. Buone idee, ma nessuna vera novità qui.
La seconda esplosione innovativa arriva dal quartiere di Flatbush, Brooklyn, che ha partorito il movimento Beast Coast. Fondatore è il rapper Joey Bada$$ (tralasciamo il nome d’arte da spaccone, fa parte del gioco), punta di diamante e cofondatore del collettivo Pro Era, le cui origini poggiano sull’amicizia di un gruppo di ragazzi di ascendenza caraibica, cresciuti nei vicoli gentrificati di Flatbush. Accompagnano nell’impresa rinnovatrice i gruppi Flatbush Zombies e The Underachievers.
Tratti accomunanti, oltre a quello ovvio ma significativo del quartiere, sono una passione smodata per l’utilizzo di droghe psichedeliche e la frequente presenza nei testi di tematiche esoteriche, d’ispirazione vagamente New Age. È inevitabile, ma pur sempre peculiare, che almeno un membro di ciascuno di questi gruppi abbia affermato di essere un indigo child, un altro invece sostiene di aver perso il proprio ego dopo un trip sotto effetto di funghi.
A prescindere da ciò, dunque lasciando da parte credenze, stranezze e stravaganze, c’è innovazione musicale? La risposta: sì e no. Bisogna lasciare il tempo necessario. Indubbiamente si tratta di gruppi ancora acerbi, in crescita, tendenti all’immaturo e al superficiale, che hanno comunque mostrato un potenziale artistico di tutto rispetto, come si nota soprattutto con il portabandiera del movimento, Joey Bada$$, definito un Nas dei nostri giorni, o con gli Underachievers, duo unico e geniale nel suo genere, tanto da aver attirato l’attenzione dell’etichetta discografica alternativa Brainfeeder.
Quindi tutto qua? No, perché come accade spesso nella musica, la vera sperimentazione sta avvenendo, ma altrove: nel sottosuolo della miniera che è New York. L’attenzione va rivolta anche laggiù, verso emergenti gruppi come i Ratking, gli immortali e prolifici El-P e Aesop Rock, nonché verso la rigogliosa scena alternativa che si sta manifestando già da diversi anni sulla costa rivale, ossia la West Coast che fu di 2Pac e della prima generazione di gangsta rap, la West Coast della violenza e della libertà d’espressione, entrambe più che mai attuali.