a cura di Martina Rossi
“L’anello della chiave“, romanzo del 2002 dell’autrice olandese Hella Haasse (traduzione italiana del 2006 – Iperborea), appartiene ad un filone narrativo che, senza il suo contributo, sarebbe probabilmente rimasto nell’ombra: quello dell’esperienza coloniale degli ex-abitanti delle Indie Orientali Olandesi. Un’esperienza, come in genere è stato il colonialismo, unica nel suo genere ed estremamente complessa, spesso contraddittoria.
Tema già trattato dalla scrittrice ne “Il lago degli spiriti” (1992, ed. Lindau), anche in questo romanzo l’Indonesia appare come una dimensione a sé stante, con cui i diversi personaggi cercando di rapportarsi nei modi più vari, a volte con distacco, a volte con accanimento. Un tema così variegato può essere giustamente trattato solo da chi l’abbia vissuto in prima persona: Hella Haasse è nata nel 1918 a Giacarta (allora Batavia, fondata dalla Compagnia delle Indie Orientali, cambia nome dopo l’indipendenza dell’Indonesia).
La voce narrante è quella di una donna ormai anziana, Herma, che in età adulta ha fatto carriera come critica d’arte. Il suo passato coloniale, assopito in una cassa di ebano di cui non riesce a ritrovare la chiave, viene risvegliato da un giornalista. L’uomo sta cercando informazioni su un’attivista, protettrice delle minoranze di cui si sono perse le tracce. Quella donna è Adèle “Dee” Mijers, amica di infanzia, quasi una sorella per Herma; ma che ha finito per allontanarsi da lei, dalla società coloniale degli olandesi in Indonesia, a ribellarsi alla sua famiglia, a detestare le sue radici. Herma perde le sue tracce; ma il legame tra le due donne in qualche modo continua, e Dee esisterà su tutta la vita di Herma, a volte come un dolce ricordo di un’infanzia da sogno, più spesso come un’ombra.
Herma fa ritorno nella sua città natale, da adulta. Ormai si chiama Giacarta, ormai è caotica e poverissima. Spazzato via dalla guerra, dall’occupazione giapponese, dall’indipendenza, il suo passato, quella dimensione onirica fuori da spazio e tempo, non esiste più. Ma non è del tutto perso ─ sta ancora tutto lì, al sicuro, nella sua cassa. O almeno, così crede.
Perché è impossibile che fotografie e documenti possano davvero raccontare quel periodo. Il contatto di una cultura occidentale, legata alla modernità ─ qualsiasi cosa sia ─ e la cultura indonesiana, composta da usanze millenarie, codici di comportamento, visioni, credenze incomprensibili al colonizzatore. Questa è l’immagine raffinatissima e particolare che la Haasse dà dell’Indonesia. Racconta di un mondo, quello del colonialismo, forse tanto sbagliato alle sue basi; ma avvolto, per la sua protagonista, dal fascino delle cose perdute e destinate a non ripetersi più.
Fonti:
- Hella Haasse, L’anello della chiave, 2002 – tr.it 2006, Iperborea.
- Wikipedia (link)
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