Dighavu: la stretta relazione fra capacità di perdonare e possibilità di essere perdonati

Poi il re Brahmadatta disse al Principe Dighavu: “Perchè tuo padre disse queste parole prima di morire? ‘Mio caro Dighavu non avvicinarti. Non farti vedere. Non vendicarti di questo. La vendetta non paga mai. L’odio non si combatte con l’odio. L’odio si combatte con l’amore.’? “Mio padre mi disse queste parole prima di morire: ‘Non vendicarti di questo. La vendetta non paga mai. L’odio non si combatte con l’odio. L’odio si combatte con l’amore.’ – perché se vi avessi ucciso, maestà, coloro che vi amano mi avrebbero ucciso. E coloro che mi amano avrebbero poi ucciso coloro che vi amano. E così senza fine. L’odio non si combatte con altro odio. L’odio si combatte con l’amore. La vendetta non paga mai. Così ora io vi ho risparmiato la vita e voi avete risparmiato la mia. Perciò mio padre disse quelle parole prima di morire.

Questo è un estratto di una storia buddista che racconta del principe Dighavu, figlio di un re scacciato dal trono, costretto all’esilio e ucciso dal sovrano più potente Brahmadatta. Il figlio, di fronte alla possibilità di vendicarsi e vendicare i genitori uccidendo il suo nemico, decise di perdonarlo, nonostante tutte le ingiustizie subite. Il buddismo infatti incoraggia il perdono e condanna dell’ira, considerandola fonte di ogni conflitto. “Non sarai punito per la tua rabbia, ma sarai punito dalla tua rabbia”, si dice abbia detto Buddha.

Anche il sikhismo, fra le religioni orientali, considera il perdono in forte opposizione con la rabbia. Secondo i sikh, infatti, perdono e ira non possono risiedere contemporaneamente nella mente della stessa persona.

Il legame fra capacità di perdonare e possibilità di essere perdonati è spesso molto stretto: la spinta in entrambi i casi viene dalla necessità di evitare un conflitto, più che dal timore di un giudizio esterno.

Tuttavia nelle religioni abramitiche si dà molta importanza anche al giudizio che la Divinità può dare di una cattiva azione, e alla necessità di agire attivamente per ottenere il perdono divino, a volte più per timore di una punizione, come la dannazione eterna all’Inferno, che per senso di colpa innato. Il cattolicesimo, ad esempio, prevede un sacramento, la confessione, che dà la possibilità di redimersi dai propri peccati, confessandoli a un rappresentante della Chiesa, recitando preghiere e facendo voti e digiuni.

La rinuncia al cibo è pratica comune per tentare di purificarsi da errori passati, lo si ritrova anche nell’ebraismo, in particolare nella giornata del Kippur, e nell’Islam, nel mese del Ramadan.

Le Scritture testimoniano molte volte la possibilità per gli esseri umani di rimediare, agli occhi divini, a sbagli passati. La Divinità che nella Genesi non ebbe pietà dei peccatori che furono travolti dal diluvio universale strinse poi un patto con Noè e la sua famiglia, promettendo che una punizione così indiscriminata non si sarebbe verificata più.


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