Carità come grazia

La carità, più che elemosina, è una forma d’amore e benevolenza, infatti calca il termine greco charis, ovvero grazia, intesa come offerta disinteressata all’altro. Se presa sotto questo aspetto la carità assume in poesia un ruolo più chiaro: l’invasamento delle muse, l’amor mi detta di Dante, gran parte della poesia di Pasolini, Esiodo, Celan, Eliot, sono tutti atti di carità.
La poesia, infatti, si fa caritatevole quando parla di amore, di un amore che si sacrifica per l’altro, un altro che può essere un femminino, o un ceto sociale, un popolo.
Prendere esempi su esempi sarebbe inutile, perché già la premessa prelude a numerosi esempi, che percorrono la più parte dei poeti, dall’antichità a oggi.

Un poeta contemporaneo ci ha lasciato un’opera che si può definire caritatevole: Canzonette mortali. Il poeta in questione è Giovanni Raboni, nato a Milano nel 1932 e morto a Fontanellato, Parma, nel 2004. Ha scritto questa plaquette tra il 1981 e il 1983. Sono delle poesie d’amore, molto brevi e incisive, dove emerge una grazia (ovvero una charis) e un’attenzione al dettaglio che spesso e volentieri stupiscono, soprattutto con versi come “[…] ricordo adesso con spavento/quando alle mie carezze smetterai di bagnarti […]”. Si capisce subito quanto contrasto ci sia nei toni tra i due versi, sia per lunghezza, sia per linguaggio.
Queste canzonette sono una testimonianza caritatevole di amore per una donna molto più giovane di lui, probabilmente – anzi, sicuramente – Patrizia Valduga. Qui abbiamo una carità in doppia battuta: da una parte la grazia concessa da una donna molto più giovane, una carità erotica; dall’altra la carità di un uomo, che concede un affetto sconfinato e furioso (“Le volte che è con furia/che nel tuo ventre cerco la mia gioia […]”) ma solo perché non ha il tempo per amarla ulteriormente (“[…] so che più di tanto/non avrà tempo il tempo/di scorrere equamente per noi due […]”): Raboni deve concentrare il suo amore nel breve periodo, facendo un atto di amore spassionato e appassionato, un atto vigente da entrambe le parti.

Solo questo domando: esserti sempre,
per quanto mi sei cara, leggero.

Questo distico ci svela come Raboni vedesse con tensione questo rapporto, perché sembra combattuto tra l’idea che lei gli sarebbe sopravvissuto (“Penso se avrò il coraggio,/di tacere, sorridere, guardarti/che mi guardi morire”) e quella sopra espressa, di una volontà di leggerezza, per quanto gli sia cara, non a caso l’etimo ci insegna che carità è un derivato di cara. Perché la carità erotica di questo rapporto è qualcosa di tormentato, di difficile, tanto che si cerca di alleggerirsi, cercare altre vie.

Toccarti
dove sei dolce e umida mi dà
la sete che mi toglie,
mi guarisce e mi svena se ti fa,
dolcezza, umida appena…

E qui l’apice dell’amore: un amore fortemente erotico, che non lascia adito a sottintesi, ma che scende quasi nel pornografico, ma con una voce sempre elegante, mai banale. Quindi il sesso assurge a purificazione, atto di carità per eccellenza, perché svela l’intimo del proprio corpo (corrispondente dell’anima) senza patimenti, anzi.

Considero le Canzonette un poemetto d’amore, in forma leggera, come indica il diminutivo, ma, d’altra parte, il mortali riporta a una realtà: la coscienza della morte, della sopravvivenza, dell’amore, legato indissolubilmente al thanatos, ovvero al morire. Un doppio filo interrotto dal momento, dal tocco:

Non questa volta, non ancora.
Quando ci scivoliamo dalle braccia
è solo per cercare un altro abbraccio,
quello del sonno, della calma – e c’è
come fosse per sempre
da pensare al riposo della spalla,
da aver riguardo per i tuoi capelli.

“Come fosse per sempre“, ossia la capacità eternante dell’amore, che concede a Raboni, come alla maggior parte degli esseri umani, una grazia provvisoria, in cui si può vivere stracciando l’idea di un qualsivoglia confine tra essere e non essere.
Sembra strano, considerando come l’idea cristiana di carità ci abbia influenzato, banalizzando un concetto molto più ampio e riducendolo all’idea di elemosina. In realtà la carità, come ci insegna Raboni, è soprattutto atto d’amore, anche dove pare impossibile la sua presenza. E non la pratichiamo tanto spesso questa forma di carità, soprattutto perché ci hanno insegnato che il sesso non è forma di carità, ma di peccato: questa plaquette si può considerare tra le più importanti del secondo ‘900, perché ridiscute questo concetto di sessualità, liberandone gli aspetti prima censurati, ossia di sesso come atto di amore spassionato e disinteressato, nonché unica modalità esistenziale in cui dimenticarsi della propria finitudine. Ovvero l’unico modo per toccare con mano un lazzo di eternità.

Un giorno o l’altro ti lascio, un giorno
dopo l’altro ti lascio, anima mia.
Per gelosia di vecchio, per paura
di perderti – o perché
avrò smesso di vivere, soltanto.
Però sto fermo, intanto,
come sta fermo un ramo
su cui sta fermo un passero, m’incanto…


Fonti

Giovanni Raboni, Tutte le poesie 1949-2004, Einaudi, 2014

Crediti

Copertina

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.